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LE INTERVISTE

di

Mattia Lattanzi

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MARCO MANCA

Dall’Isola d’Elba ai  migliori palcoscenici d’Italia il passo non dev’èssere stato facile ?

No, sicuramente non è stato facile, sono nato appunto in un'isola con tutti i pro e i contro che una terra del genere può avere, sicuramente non era certo un centro teatrale e artistico particolarmente fervido, anzi, basti dire che dagli anni 80 fino alla fine degli anni 90, l'isola ha avuto i suoi unici due teatri chiusi ed è stata priva di un vero cinema, ancora oggi, questo tipo di attività è poco presente sul luogo; questo ha sicuramente impoverito e danneggiato culturalmente la mia generazione. Io sono stato privilegiato grazie ad una famiglia culturalmente attiva ed aperta che mi ha permesso di colmare ciò che il luogo non offriva. Mi ricordo che qualche volta da adolescente scappavo letteralmente a Livorno o a Firenze per andare a vedere qualche spettacolo che mi interessava e poi mi rimettevo in viaggio alla meglio verso Piombino dove aspettavo l'alba per riprendere il primo traghetto e tornare a casa. Sembrano racconti anacronistici per un ragazzo della mia età, ma il bello di questi luoghi forse è anche questo, una concezione del tempo più fissa e lenta. Certo ci sono anche molti lati positivi, sicuramente le bellezze naturalistiche del luogo e il modo in cui l'Isola ti forgia il carattere, sono importanti, ti rendono forse più sensibile, infatti di artisti la mia terra ne ha regalati al pubblico, due per tutti,: il grande compositore Giuseppe Pietri e il grande tenore Renato Cioni. Ci sono stati momenti difficili, amarezze, delusioni, ma senza mai scoraggiarmi, grazie alla serenità di aver fatto la giusta scelta, di aver abbracciato l'unica vita per me possibile a prescindere da tutto.

Praticamente ha fatto “la gavetta”, come usava un tempo, cosa che oggi i giovani non fanno più, pretendendo subito di avere il successo, meglio se televisivo?  

Mi permetto di usare ancora questa parola, anacronistica, perchè la mia storia lo è, nel senso migliore del termine. La gavetta è un qualcosa che non esiste praticamente più intesa come lo era molti anni fa, si è evoluta, sono diversi i passi da fare, essa è cambiata con i tempi. Io invece ho avuto la fortuna di fare la gavetta alla vecchia maniera e credo che certe esperienze per me siano state un bene immane, un tesoro immenso di mestiere che mi servirà sempre. Gli attori del passato vivevano “La compagnia”, ci lavorano anni e crescevano dentro di essa, mettevano su repertori anche di 30 commedie l'anno, adesso è diverso, si forma una compagnia per la produzione corrente, finita questa, si scioglie tutto e si cambia, è diventata una cosa più da mercenari, non me ne voglia nessuno. Invece io ho avuto la fortuna di vivere da ragazzino gli ultimi respiri di quel mondo, grazie a Beppe Ghiglioni.

Nella sua carriera un ruolo importante l’ha rivestito Beppe Ghiglioni, uno dei premi alla memoria della decima edizione del nostro Festival, vero ?

Beppe per me è stato un grande maestro, ma anche una grande persona, mi ha lasciato una ricca eredità, un tesoro immenso oltre che di teatro anche di vita, affetto, generosità, onestà, ricordi meravigliosi di pazzie da “vecchi toscani”, fatti di battute meravigliose, di uno stile di vita puro e semplice eppure meravigliosamente eccentrico, indescrivibile. Mi ha adottato artisticamente che avevo solo 12 anni e mi ha insegnato il teatro come un padre insegna la vita ad un figlio, mi manca molto, come manca a tutte le persone che lo amavano ed ogni volta che qualcosa non va penso a lui e il suo esempio mi rasserena sempre perchè, pur essendo stato un grandissimo attore, non ha avuto il successo e i riconoscimenti che meritava. Si ricollega a ciò che abbiamo detto precedentemente sulla ricerca del successo facile. Per queste persone, ciò che importava non erano le medaglie, ma la possibilità di vivere quella vita, di essere liberi, di essere artisti e protagonisti non del giornale, del rotocalco, bensì del palcoscenico e, se qualche volta ne soffrivano, com'è umano, bastava un nuovo copione, un nuovo progetto, un nuovo costume tirato fuori dal baule da “riammodernare” e tutto riprendeva vita e gioia. Questo credo sia forse l'insegnamento più grande, infatti, anche per me, lo dico con estrema sincerità, ciò che conta è riuscire a vivere di ciò che amo e, visti i tempi in cui viviamo, sarebbe già un grande successo. Vorrei fare il mio mestiere nel modo migliore possibile, al livello più alto, poi tutto il resto deve essere una conseguenza ,il riconoscimento che ciò che ho fatto è stato bello, nuovo, interessante.


E su Ottavia Piccolo cosa può dirci?

Ottavia è stato un altro grande punto di riferimento, certo vissuto più da lontano, una presenza discreta e affettuosa. Avevo quattro anni quando l'ho conosciuta, non sapevo assolutamente chi fosse, per me era la Zia Ottavia e basta, poi crescendo ho scoperto che la zia era una delle più grandi attrici italiane e allora l'amore è stato doppio. D'estate spesso veniva a trovarci all'isola d'Elba e ci faceva dei regalini, a mio fratello regalava un vestito, o un giocattolo, a me sempre libri e io mi lamentavo, ma lei diceva che se volevo fare l'attore avrei dovuto leggere e studiare tanto e che sarebbe stato utile che mi ci abituassi subito, era straordinaria ed io sbuffavo e non capivo, adesso la ringrazio. Finita la maturità classica pensai giustamente di provare ad entrare in una grande scuola di teatro, lei mi aiutò a capire quale fosse la più giusta per me, addirittura passai un pomeriggio nella sua casa di Milano a studiare e ripassare con lei i monologhi che avevo preparato per la selezione, non è da tutti avere Ottavia Piccolo che ti “prepara agli esami”. Mi ha aiutato sempre nel modo migliore e più sano possibile, non mi ha mai “raccomandato”, ne io l'ho mai chiesto, mi ha piuttosto consigliato, indicato la strada migliore, al massimo mi ha indicato qual era la porta da prendere, ma poi me la sono dovuta aprire da solo, com'è giusto che sia e non avrei mai desiderato facesse altrimenti. Non nego però che uno dei miei più grandi desideri sia riuscire un giorno a recitare al suo fianco.

Oggi lei riceve un premio speciale per la sua interpretazione, quasi skespiriana, di Re Giovanni nel musical “Robin Hood”.  Come si è preparato per interpretare questo personaggio ?

E' stata un po' una scommessa e una sfida quella di questo personaggio, sia per me che l'ho interpretato che per la regia e la produzione che hanno voluto puntare su un attore giovane, più giovane sicuramente rispetto all'età del personaggio, rischiando molto, di questo sono molto grato, ma penso di aver ripagato l'investimento con il mio impegno e, questo premio, credo, sia una prova di questo. La mia volontà era quella di rompere un pochino i canoni dell'attore da musical un po' clichettati e stereotipati, visto che avevano scelto me e, quindi abbracciato la mia storia attoriale; volevo dare al personaggio lo stesso tipo di approccio e di lavoro che avrei utilizzato per interpretare un testo in prosa. Ho trovato delle connessioni anche se lievi tra Re Giovanni e Riccardo III di Shakespeare, certo la forma espressiva è un'altra, bisogna pur rispettare il genere e il pubblico a cui è rivolto, ma perchè non rischiare, perchè non far stringere la mano a questi due personaggi e contaminarli l'uno con l'altro?! Questo mi porta a fare una riflessione: il musical spesso è ritenuto un genere di serie b ed io ritengo invece (non lo dico da addetto ai lavori perchè non vivo soltanto la realtà del teatro musicale), che abbia questa falsa fama perchè è visto solo come intrattenimento ed evasione, dove il pensiero e la riflessione non trovano spazio, ma non è sempre così, come nel teatro di prosa esistono le commedie brillanti e le tragedie, così nel musical, ci sono spettacoli in questo genere curati nei minimi dettagli, dalla regia alle luci, dai costumi alle scenografie, per non parlare della musica e della danza, che li rendono talmente belli ed affascinanti da non invidiare niente a nessuno. Viva il teatro, tutto, purchè sia di qualità!

Sogno nel cassetto ?

Tanti, sono molto giovane, mi piacerebbe passare da un genere all'altro con facilità e versatilità, senza essere incatenato a niente. Molti artisti ci sono riusciti, anche se per la generazione precedente era diverso, non dico più facile, ma sicuramente diverso, uno su tutti Massimo Ranieri, che è riuscito ad eccellere in tutti i campi, quello musicale, cinematografico e teatrale. In questo momento, sicuramente la mia ambizione mi porta verso il cinema, è un linguaggio che amo molto ,ma che come attore,per ora, ho avuto rarissimamente occasione sperimanetare. Spero di arrivarci attraverso la palestra dei grandi personaggi del teatro classico e moderno. Poi ci sono tanti altri sogni, raggiunta una certa maturità vorrei fare regia, a tutto tondo, dal testo alla scenografia, dare un linguaggio unico e mio allo spettacolo, ma questi appunto sono sogni, ai posteri larga sentenza!

Mattia Lattanzi

                                         
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