Lei ha avuto la fortuna d’iniziare a recitare alla scuola di Oreste Pelagatti, un altro grande del teatro fiorentino, precocemente scomparso, e sottovalutato dai contemporanei. Che cosa le è rimasto di questo Maestro ?
Sono arrivato nella compagnia di Oreste a 19 anni, dopo un provino a cui mi aveva in qualche modo spinto un’amica, prima avevo già recitato in alcune compagnie amatoriali, dopo essere uscito dall’Accademia dei Piccoli, l’unica scuola vera e propria di recitazione che ho frequentato. Con lui ho iniziato il mio percorso professionale. Oreste era un vero signore, un aristocratico d’altri tempi, una persona particolare, austero e comprensivo, sensibile e carismatico, ma con il gusto dello scherzo. Non era un attore ma un drammaturgo, anzi direi un drammaturgo straordinario e di grande sensibilità. Ha scritto molti testi in italiano ma anche le più belle commedie del vernacolo fiorentino contemporaneo, lui che abruzzese di nascita ha amato la nostra città forse più dei fiorentini stessi, riscoprendone le tradizioni e promuovendo la prima scuola di teatro vernacolo di Firenze. Era anche regista, la sua qualità principale consisteva nell’immediata comprensione dell’interprete, della persona che aveva di fronte, ne studiava il carattere, i suoi punti di forza e le sue debolezze e da questa empatia partiva a dirigere i suoi attori. Spesso scriveva i testi direttamente sugli attori, come ha fatto anche con me, aggiungendo un personaggio a una sua vecchia rivista che voleva riportare in scena, “Quel lazzarone di Nerone”. Io sono stato il suo Mercurio, messaggero degli dei. Quello è stato l’ultimo spettacolo che ha diretto, perché a fine delle repliche, proprio dopo l’ultima, ci ha lasciati, e quel Mercurio è stata l’ultima parte che ha scritto. A Oreste devo molto, lui mi ha dato fiducia e indirizzato sulla strada che oggi faticosamente percorro. A lui devo persino l’essere diventato giornalista. Solo per aver letto alcune cose che avevo scritto e forse per un mio certo spirito di iniziativa, anche se ero timidissimo allora, mi affidò l’Ufficio Stampa della sua compagnia e del Teatro di Cestello, così , mi disse, oltre al magro compenso di attore avrei potuto mettere in tasca qualche altro soldino. In realtà lui aveva capito e visto qualcosa in me che poi ho avuto modo di sviluppare. Dunque se oggi il giornalismo e il teatro sono le mie due fonti di sostentamento, oltre a essere le mie grandi passioni, o ragioni di vita, ecco a chi lo devo ed ecco dove nascono i binari paralleli sui quali muovo il mio convoglio. Ogni volta che vado in scena gli dedico un pensiero, uno a lui e uno a un altro amico che non c’è più, Marco Tarchi, il primo che fisicamente mi ha messo su un palcoscenico da bambino.
Lei è uno dei pochi attori che ha la possibilità di lavorare ad importanti programmi per la Rai qui alla sede fiorentina, com’è lavorare a questi progetti ?
E’ un’esperienza professionale importante. Qui a Firenze si registrano fiction e documentari per la radio, molti dei quali prodotti da Rai International per i nostri connazionali all’estro, e altri per Radio Tre. Per quello che da esterno, ossia da attore scritturato, ho potuto vedere la sede fiorentina ha potenzialità notevoli forse però poco sfruttate. Studi e regie, sempre parlando di radio, che potrebbero lavorare molto di più, per periodi più lunghi dell’anno, anche perché la qualità dei prodotti che escono da qui è sempre molto elevata. Vi lavorano professionisti preparati, tecnici, autori della statura di Pier Francesco Listri o lo stesso direttore dei programmi Gabriele Parenti. Anche i cast sono sempre di alto profilo. Qui ho avuto modo di affiancare colleghi come Virgilio Gazzolo, Americo Fontani, Fiamma Negri, Gianni Esposti, una delle voci radiofoniche in assoluto più belle d’Italia. Lavorare con loro mi ha dato modo di crescere, inoltre ho riscoperto il fascino un po’ retrò e molto romantico della radio. Prima di essere chiamato dalla Rai, a seguito dei miei lavori in teatro, sinceramente non conoscevo molto questo tipo di programmazione, la prosa radiofonica. Avevo fatto qualcosa su emittenti locali, ma solo come speaker. Invece dover interpretare un copione, raccontare storie, dialoghi e intrecci solo con la voce, l’unico strumento attraverso cui far passare anche le immagini, le suggestioni temporali e le ambientazioni è decisamente complesso e affascinante. Ho avuto modo di conoscere meglio e sperimentare la mia stessa vocalità, ho imparato ad affinarla, ad ascoltarla. Da quando faccio radio mi sono accorto che anche in palcoscenico mi ascolto molto di più e provo piacere nel modulare il suono, nel variare dei diversi passaggi. Le nostre corde vocali sono esattamente come uno strumento musicale che dobbiamo imparare a suonare bene, per non rovinarlo e perché il suono sia una carezza per chi lo ascolta, o un graffio, a seconda delle suggestioni, delle sensazioni che dobbiamo trasmettere. Ora mi perdo spesso anche nell’ascolto della prosa radiofonica, mi lascio trasportare dalla musicalità delle voci, che inducono a immaginare, a stimolare la fantasia per ricreare ambienti ed epoche. Inoltre registrare per gli italiani all’estero mi fa sentire utile, portare un pezzettino di casa a chi dalla case è lontano magari da anni. Mi dicono che questi programmi siano molto richiesti e seguiti e una piccola prova l’ho avuto, una richiesta di amicizia su facebook da un ascoltatore del sud america, che mi ha ringraziato per il nostro lavoro.
Non solo attore, ma anche produttore, regista, promoter, e agente ?
In realtà nasco attore e se potessi farei solo questo in teatro. Ma purtroppo come dice mia madre io sono uno con la testa dura e quando mi mento in mente un progetto devo andare fino in fondo. Così ho iniziato a produrre, il primo spettacolo nel 2006, perché volevo a tutti i costi riportare in scena un bellissimo testo di Schmitt che avevo visto dieci anni prima in teatro recitato dal grandissimo Turi Ferro e Kim Rossi Stuart , “Il Visitatore”. Ho girato un po’ in cerca di qualcuno che accettasse di farlo, ma o mi avanzavano delle controproposte o non mi consideravano proprio e così ho deciso di farlo io. Ho aperto un’associazione con amici artisti e non, Altrove Teatro, e ho chiamato una regista, Fiorella Sciarretta, con la quale avevo già lavorato, e con un esiguo capitale ma tanto cuore ho dato inizio a questa avventura. Siamo partiti con due repliche sole, poi lo spettacolo è andato avanti per due stagione consecutive, premiando così il salto nel vuoto iniziale. A quel punto l’associazione c’era, mi ci ero affezionato e così di anno in anno ho sempre cercato un nuovo progetto, pur continuando a fare anche lo scritturato, e oggi stiamo già lavorando alla quinta produzione, quella che debutterà nel 2010. La cosa più emozionante è il calore con cui ci segue il pubblico, ovunque fino a oggi siamo riusciti ad arrivare, pur non essendo ne io ne i miei colleghi nomi così noti alle grandi platee, perché non siamo volti televisivi e questo non aiuta. Anche in teatro si vogliono i divi del piccolo schermo, a dispetto della qualità. Noi se lavoriamo invece è proprio per la professionalità e la qualità dei nostri spettacoli ed il pubblico questo lo riconosce, i teatri riusciamo a riempirli anche senza il favore dei mezzi di comunicazione e dove siamo stati generalmente ci richiamano. Di regie ne ho curate per ora solo due, e una sola volta per contingenze temporali sono stato costretto a dirigere me stesso. La regia mi intriga molto e credo che svilupperò anche questo aspetto, ma non quando sarò io in scena, non penso sia buona prassi dirigere se stessi e poi ho ancora troppe cose da imparare. Se sono un bravo promoter non lo so, quanto all’agente decisamente no, non lo sono, anzi sono un pessimo agente persino di me stesso.
Il 25 maggio 2007 è protagonista della rappresentazione organizzata per le celebrazioni del quattrocentenario della morte di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, con la lettura spettacolo “Venite ad amare l'amore" nella cattedrale di Firenze, Santa Maria del Fiore, accanto all'attrice Claudia Koll. Come vi siete preparati a questa particolare e suggestiva “rievocazione”?
In quell’occasione l’autore, Riccardo Bigi mi chiese anche di curare l’allestimento della messa in scena, quindi personalmente iniziai a lavorarci con un discreto anticipo, poi ho incontrato Claudia. Il tempo di prepararci insieme, per i reciproci impegni, non è stato molto, ma ci siamo sintonizzati subito, un po’ perché il mio timore di trovarmi di fronte a una diva, nonostante la sua conversione, fu immediatamente fugato dalla sua grande semplicità e totale disponibilità e molto per la suggestione dell’evento, la straordinaria spiritualità di cui era figlio ed espressione, che al di là della fede personale, che può essere più o meno forte, o anche non esserci proprio (non è il mio caso), per un attore, un interprete della vita e della natura umana, è un motore emotivo di una potenza persino difficile da spiegare. Ci vuole anche una buona dose di consapevolezza, come del resto ogni volta che si affronta un personaggio o un testo. Poi c’era Santa Maria Del Fiore, la cattedrale della mia città, con la sua storia, la sua arte, quell’unico e irripetibile incontro di trascendenza e ingegno umano. Inutile dire quale fosse la nostra emozione. Prima di entrare ho stretto la mano Claudia, tremavamo all’unisono. Poi quando siamo avanzati ho avuto l’ardire di volgere un istante lo sguardo in alto, sopra di me c’era la cupola illuminata, il paradiso che mi guardava, ho creduto di svenire, sono salito sulla pedana, davanti a me l’immenso vuoto della navata con schiacciata al suolo una folla incalcolabile. Non so cosa o chi mi abbia sorretto in quel momento, è stato un attimo solo, la prima battuta, le ginocchia hanno tremato, e credo si sia visto, ma la voce è uscita calma, sicura e a poco a poco mi sono ritrovato sereno. Ho guardato Claudia, era bellissima, vestita di bianco, un sorriso nel quale chiunque avrebbe voluto abbandonarsi.
Lei affianca l’attività artistica a quella di giornalista, scrivendo per importanti testate, prevalentemente di cultura e spettacolo. E proprio uno dei motivi del premio speciale che oggi Le viene assegnato è questo, ovvero per aver trovato un linguaggio nuovo nel parlare ai lettori delle problematiche legate non solo ad uno spettacolo ma al mondo dello spettacolo. Non deve essere stata un impresa facile, come sicuramente non lo è neanche ora?
Se devo essere sincero, e se penso solo al mio modo di raccontare in particolare il teatro, lo faccio e l’ho sempre fatto con semplicità e naturalezza, come un innamorato potrebbe parlare della propria donna nel bene o nel male. Io ho la fortuna di nascere professionalmente sul palcoscenico, di conoscerne i linguaggi le difficoltà, di esserne in prima persona interprete, così quando sono chiamato a raccontarlo lo faccio col medesimo spirito con cui animo un personaggio, scegliendo, anzi catturando dalle mie sensazioni ed emozioni le parole più consone al climax che sto vivendo io stesso o che respira in un testo o anche in una messa in scena o in un fatto di cronaca. Cerco di accompagnare il lettore dentro la medesima atmosfera, di comparteciparla con lui. Ho sempre concepito il mio doppio ruolo di attore e giornalista, in particolare di “critico”, come due facce della stessa medaglia, ovvero far vivere il teatro sulla scena e farlo vivere, da occhio esterno ma partecipe, sulle pagine di un giornale, per stillare nel lettore il gusto di volersi scoprire anche spettatore. L’impresa deriva più che altro dal fatto di dover reggere questo dualismo rispetto al mondo esterno, perché per varie ragioni, che non voglio certo sindacare, non sempre le rispettive categorie sono disposte a concedere al mio impegno la mia stessa lettura. I colleghi più intransigenti, o forse i più sinceri, pochissimo comunque, dall’una e dall’altra parte mi sollecitano spesso a una scelta, che non voglio fare, per le ragioni di cui sopra, ma non posso neppure fare perché perderei comunque una fonte indispensabile di sostentamento. Però adesso vedo che la situazione si sta evolvendo, la diffidenza iniziale non è più così evidente e anzi so e avverto di essere apprezzato e stimato da molti colleghi sia attori, forse di più, che giornalisti. Ho comunque la fortuna di collaborare e di aver iniziato il cammino giornalistico con una redazione, quella de Il Corriere di Firenze, oggi Nuovo Corriere, che ha sempre riconosciuto, anche con grande affetto, la mia professionalità e ha sempre creduto e crede nelle mie capacità. Mi fa poi molto piacere questa domanda perchè mi da anche l’occasione per ringraziare per questo premio, proprio per il fatto che mi viene attribuito riconoscendo lo spirito della doppia medaglia di cui sopra e soprattutto da un collega giornalista, Franco Mariani.
Un suo giudizio professionale, come attore e come giornalista, sul mondo dello spettacolo in Italia e soprattutto in Toscana e a Firenze ?
Eh… l’analisi sarebbe lunga e complessa ma cerco di sintetizzarla. Un po’ come in tutte le cose anche il valore delle arti dello spettacolo in Italia, rispetto al grande pubblico, ha perso smalto. La qualità è minata dal pessimo servizio che fa la televisione odierna, compresi i canali pubblici, che comunque conservano spazi esigui ma interessanti di produzione e anche messa in onda. Le grandi produzioni teatrali cercano il nome televisivo, perché sono costrette a stare sul mercato, dalla mancanza di sostegni pubblici. I tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo da parte del governo stanno mettendo in ginocchio le compagnie e i teatri. Prosa, danza per non parlare delle Fondazioni lirico sinfoniche. La situazione non è rosea, questo determina uno scadere della qualità il che è molto triste soprattutto considerato il fatto che come potenzialità artistiche l’Italia è da sempre un’eccellenza internazionale, anche se dall’interno siamo portati a valorizzare per esterofilia congenita molto di più i prodotti esteri, come per esempio avviene nel cinema. A fronte di ciò siamo capaci di esprimere professionalità artistiche e tecniche eccezionali, soprattutto tra le nuove generazioni, che però non hanno spazio né mezzi per emergere e questo vale a livello nazionale ma ancor di più se guardiamo la realtà toscana e fiorentina. Qui per esempio c’è il carrozzone della Fondazione Toscana Spettacolo, che per statuto dovrebbe incentivare e promuovere le eccellenze e le nuove esperienze emergenti sul territorio e invece intende sempre di più il proprio ruolo come programmatore diretto di teatri, cosa che statutariamente non le competerebbe, chiunque può leggere lo statuto, e distributore per le compagnie riconosciute dal ministero. A Firenze è mancata un politica organica per la cultura e lo spettacolo, basti pensare al fatto che in cinque anni sono cambiati quattro assessori e per un certo periodo la poltrona della cultura è stata vacante sia in regione che in provincia in comune. A fronte di ciò il tessuto culturale associativo e imprenditoriale, nonostante tutto, è caparbiamente ricco, ostinatamente attivo e spesso interessante, ma sempre a rischio decesso. Qualcosa è necessario che cambi… anche se la natura stessa del teatro mi spinge alla fine all’ottimismo, giacché la sua morte più volte annunciata nei secoli lo ha sempre visto risorgere, più vitale e combattivo.
Mattia Lattanzi
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