Dalla Radio Vaticana alla rete ammiraglia della Rai. Giornalista, cattolico, come dire passare “dalla padella alla brace”, in quanto sicuramente sono stati richiesti due modi diversi di lavorare?
Al di là di quanto si possa essere portati a credere dall’esterno, la Radio Vaticana è un ambiente di lavoro piuttosto libero. Lì mi sono sempre sentito a casa e la decisione di lasciare nel 2005 – dopo sei anni di doppio lavoro: mattina alla Radio Vaticana, pomeriggio alla Rai – non è stata facile. Con il passaggio a tempo pieno a Rai Uno, ho assunto una responsabilità maggiore nella redazione di “A sua immagine”, sia davanti alla telecamera che dietro le quinte. Ed anche qui ho cercato di portare la stessa libertà che avevo sperimentato in radio: il fatto di essere il programma ufficiale della Chiesa cattolica sulla Rai non doveva costituire un alibi per tenere chiuse le porte e le finestre, ma piuttosto doveva stimolarci a far entrare aria nuova. In entrambi i casi, dunque, ho cercato di essere laico nello stile, senza mai nascondere il mio personale cammino di fede. La radio mi è stata utilissima per vivere al meglio la tv: innanzitutto, da un punto di vista tecnico, perché mi ha insegnato il controllo dei tempi; poi, umanamente, perché solo chi è abituato a lavorare per anni nel nascondimento della Radio non si esalta quando la gente comincia a riconoscerlo per strada dopo due minuti di tv.
Con la trasmissione “A sua immagine”, è entrato in contatto con le varie sfaccettature della chiesa cattolica in Italia. Che sensazione ha avuto di questa presenza viva nella società italiana?
Fa sempre più rumore un albero che cade rispetto ad una foresta che cresce. Ed il contatto costante con le realtà cattoliche in Italia mi ha rafforzato l’idea di una Chiesa molto presente nel quotidiano, accanto ai poveri, in mezzo alla gente. Don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, parlava spesso della “Chiesa del grembiule”: quella che, come Gesù nell’ultima cena, si mette un asciugamano ai fianchi e lava i piedi degli uomini. Ma è una Chiesa che fa poca notizia e che non cerca pubblicità. Una parola vorrei dirla anche sulla cosiddetta gerarchia: l’Italia è piena di vescovi in gamba, innamorati del Vangelo e della propria gente. Non fanno notizia neanche loro, perché i giornali sono spesso propensi a giudicare la Chiesa con le categorie di un soggetto politico, come se la principale preoccupazione di chi si fa sacerdote fosse quella di fare lobby sul Parlamento o sul governo.
Alle ultime elezioni politiche è stato eletto al parlamento nelle file del PD. Come nasce quest’impegno politico?
Per cercare di avvicinare "A sua immagine" anche ai non credenti, negli ultimi anni avevo privilegiato un taglio della trasmissione molto orientato al sociale… e così mi ero trovato a raccontare storie straordinarie di carità, di amore gratuito per gli ultimi, di santità quotidiana. Ad un certo punto, mi sono sentito come uno che stesse filmando e trasmettendo in continuazione la parabola del buon samaritano, senza però esserne mai il protagonista. Ho deciso di impegnarmi più a fondo per la società: Paolo VI definiva la politica “la forma più alta di carità” ed io mi sentivo chiamato a provarci. Così ho accettato la proposta di candidatura nel Pd, sperando di poter essere “sale della terra e lievito nel mondo”.
Cosa spera di realizzare in questo mandato elettorale?
Ho già capito, in questi primi mesi di vita politica, che non sarà facile vedere risultati concreti. Ma qualcuno, con l’aiuto della Provvidenza, sto riuscendo a realizzarlo, soprattutto nel collegio elettorale che mi è stato affidato (Napoli e provincia). Giro molto, incontro persone, cerco di aiutarli a risolvere i loro problemi. Cerco di mettere insieme, per usare una metafora, quelli che hanno i denti (e sono molti) con quelli che hanno il pane (e la politica ti aiuta a conoscerne parecchi). C’è poi un altro risultato che vorrei veder realizzato, in un tempo difficile come questo: avvicinare la politica ai cittadini, e viceversa. Per questo motivo, curo tutti i giorni un blog (www.andreasarubbi.it), scrivo una newsletter ogni due settimane a chi desidera avere notizie sul mio mandato e, soprattutto, non smetto un attimo di ricordare a me stesso che sono in Parlamento a rappresentare gli altri. Soprattutto quelli che non hanno voce.
Mattia Lattanzi
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