Peppino nasce a Napoli il 24 Agosto,figlio naturale del
commediografo Eduardo Scarpetta e di Luisa De Filippo.Dalla
stessa unione nel 1898 era nata Titina e nel 1900 Eduardo.
I nomi di Consiglia e Giorgio verranno attribuiti in seguito
alla coppia di paesani ingenui e sprovveduti presenti fra
i personaggi di “Chi è cchiù felice
‘e me!”di Eduardo (1929).
1909-13
Dall’infanzia nei campi,una
volta tornato a Napoli, Peppino si trova immesso-quasi senza
soluzione di continuità- nella vita teatrale della
sua famiglia,nella quale erano stati già coinvolti
Titina ed Eduardo:debutta,nella parte di uno scolaro,al
Valle di Roma,con la Compagnia di Eduardo Scarpetta in Nu
ministro mmiezz’’e guaie ,adattamento di Sua
Eccellenza al paese natio,di Vincenzo Di Napoli Vita,a sua
volta tratto da una commedia di Eraldo Baretti.
Seguiranno altri ruoli infantili,come quello di Peppiniello
in Miseria e nobiltà,personaggio che Scarpetta aveva
creato per il suo legittimo erede Vincenzo,e con il quale
aveva “iniziato”al palcoscenico tutti i suoi
figli.
In questo periodo,colto da “panico da palcoscenico”,Scarpetta
abbandona prematuramente le scene.
Il figlio Vincenzo subentra al padre nel personaggio e nel
repertorio di Felice Sciosciammocca,nei confronti del quale
Peppino denuncerà sempre una certa antipatia: <<Né
mi era simpatico quel personaggio che aveva contribuito
alla popolarità,nella Napoli del primo ‘900,di
Eduardo Scarpetta.Parlo di quel felice Sciosciammocca che
Scarpetta con grande successo inseriva in tutte le sue riduzioni
del teatro francese.Don Felice parlava napoletano,ma sotto
sotto era ancora parigino>>. Ancora verso la fine
della sua carriera artistica,a chi gli domanda un giudizio
sulla scena contemporanea,fa notare come: <<Le riduzioni
di Scarpetta sono divertenti quanto volete,ma niente di
più,finendo con l’essere la droga del teatro
napoletano.Ai tempi di Raffaele Viviani, ma anche prima,si
è lottato molto contro questo repertorio>>
(Lello Greco,Peppino De Filippo invitato al festival mondiale
del Teatro in “Il Corriere Di Napoli” 15 Aprile
1972 in ACS, aPdf,B.33). Intanto, nell’’II ,
senza grande solerizia, Eduardo e Peppino frequentano l’istituto
Chierchia.La fama raggiunta in seguito avrebbe ‘condonato’
le frequenti diserzioni scolastiche: “Carissimi fratelli
De Filippo,mentre il vostro nome risuona per ogni angolo
di Napoli per il vostro eccezionale valore nell’arte
scenica di cui siete campiono autentici,desta in me,il vostro
caro e affezionato professore dell’istituto di Chierchia,
il desiderio di ascoltarvi e abbracciarvi,orgoglioso dei
miei giovinetti di un tempo che fu…”(il professore
Ernesto Longobardi a Eduardo e Peppino,12 dicembre 1933,in
ACS,Apdf, b.21)
1914-19
Come i fratelli, Peppino partecipa agli spettacoli della
compagnia di Vincenzo Scarpetta al Mercadante ,al Fiorentini
e anche al Trianon di Napoli e quindi-quando, a partire
dal ’18,si trasferisce nella capitale con i fratelli
e la madre- al Manzoni di Roma e in altre città.La
collaborazione con Vincenzo continua saltuariamente per
diversi anni,ma,al di là di qualche locandina che
reca anche il suo nome,non è facile documentare in
modo sistematico l’attività teatrale di Peppino,anche
perché la sua giovane età non gli consente
di andare oltre il ruolo “generico”, e i ricordi
sono spesso carenti e,a volte,contradditori: “Per
tutto il tempo che rimasi nella compagnia di Scarpetta (prima
Eduardo,e poi il figlio Vincenzo), non ebbi modo di farmi
notare molto. L’importante era percepire la paga seppure
modesta,che mi dava la possibilità,se non addirittura
di vivere,almeno di vivacchiare” . Il repertorio è
quello scarpettiano,che Vincenzo incrementa ora con i suoi
testi,apportando qualche modifica al personaggio di Sciosciammocca.
1920-24
L’apprendistato di Peppino attraversa i diversi generi
di teatro napoletano:trova scritture nella Compagnia di
prosa Molinari al teatro Nuovo di Napoli,poi nella Compagnia
di Francesco Corbinci al teatro Partenope.Nella Compagnia
di riviste di Francesco Amodio recita in Tutto color rosa!Fra
una scrittura e l’altra si arruola,secondo quanto
si racconta,come “premilitare” e presta servizio
alla Scuola allievi sottufficiali nel corpo dei Bersaglieri.Della
sua esperienza con il celebre macchiettista Peppino Villani-che
risale al ’22 e presso il quale era scritturato anche
Eduardo-Peppino ricorda una conclusione disastrosa. A quei
tempi ogni attore doveva disporre in proprio dei costumi
di scena,che rappresentavano un cospicuo investimento: <<Per
“corredo” s’intendeva:smoking,frac,cilindro,bombetta,camicie
di finissima seta ,scarpini di coppale,bastoni col pomo
d’avorio, e tutto il resto. Avevo soltanto un abito
liso di tre anni prima e un paio di scarpe che erano ancora
quelle del servizio premilitare>>. Una sera l’esecuzione
del Moulin Rouge rende però necessari gli abiti di
gala;Peppino riesce a rimediare tutto tranne le scarpe e
pensa di poter nascondere i piedi dietro diversi arredi
di scena: “Ma la sera della prima (eravamo a Palermo)
alcuni compagni di scena,per farmi uno scherzo,spostarono
immediatamente un tavolo dietro al quale m’ero andato
a nascondere,nella parte di un cliente del ‘Moulin
rouge‘.Calato il sipario Peppino Villani m’inseguì
per tutti i corridoi del palcoscenico, urlando ‘ è
inaudito ,presentarsi in scena senza scarpe!’Ma potevo
mettere sotto il frac gli scarponi del Regio Esercito?”
1925-26
Il 25’ costituisce un anno importante nella
biografia di Peppino:a giugno scrive la sua prima opera,Te
lo raccomando,una commedia in tre atti;incontra un maestro
elettivo in Salvatore De Muto-l’ultimo grande pulcinella
napoletano mentre a novembre muore suo padre:Napoli è
in lutto e i funerali sono regali.Con la compagnia di De
Muto ,Peppino al teatro di Resina in II suicidio di Pulcinella:
“Quando nel 1925 ebbi l’onore di conoscerlo
di persona (De Muto) aveva da poco tempo ripreso a lavorare
in teatro a causa di una noiosa malattia:ristabilitosi formò
subito una Compagnia per il repertorio pulcinellesco intitolata
“Rievocazione della commedia Sancarliniana”
’accostamento a un grande attore come Salvatore De
Muto fu per me “sangue pane”per le mie tendenze
artistiche.De Muto fu una maschera pulcinellesca di grandissima
risonanza nel mondo del nostro teatro.Ma dopo aver fatto
ridere e divertire almeno tre generazioni morì povero,abbandonato
da tutti,solo,stanco e triste,deluso e avvilito. Negli anni
che gli fui vicino,da giovane,appresi molto dell’arte
spontanea e improvvisata di De Muto studiandolo e imitandolo
nelle impostazione di ogni mio personaggio a carattere farsesco
Spostando la sua formazione più autentica nell’area
della tradizione pulcinellesca, Peppino sembra volersi sottrarre
all’ombra di Felice Sciosciammocca,quasi a sottolineare
provocatoriamente dichiarando la sua affinità a un
teatro precedente alla “riforma”paterna una
sua scarsa integrabilità anche artistica all’interno
di quella “famigli difficile”,di cui avrebbe
scritto le memorie. A questo periodo risale il suo ingaggio
nella Compagnia di Achille Con salvi,Nicola Urciolo,Raffaele
De Crescenzo,con la quale Peppino condivide la vita degli
“scavalcamontagne”,adattandosi a tutti mestieri,con
repertori che vanno I due segreti a vita e passione
di Cristo.Al 26’ dovrebbe ascriversi anche la sua
parodia Il pranzo delle beffe ,il cui copione è andato
smarrito.
1927-29
Conclusa l’esperienza con la Compagnia Urciolo-De
Crescenzo, Peppino racconta di avere lavorato al teatro
Tosca di Napoli,in spettacoli di varietà e di avere
cantato,tra le altre macchiette ,Flippò,Flippò,di
Gigi Pisano. Si riscontra la sua presenza ancora nella compagnia
di Salvatore De Muto e in numeri di avanspettacolo al cinema-teatro
Appio di Roma.. Il 25 Settembre 1926 viene scritturato come
generico da Raffaele Di Napoli,nella Compagnia di Napoli
e C., fino al I Marzo 1927 ,e stipula un contratto come
generico nella compagnia in lingua di Luigi Carini,dove
Eduardo era scritturato come brillante: <<Fortuna
che Luigi Carini costituiva una nuova compagnia dove fui
scritturato per un anno,dal ’27 al ’28 nella
qualità di “generico”con la paga di 25
lire giornaliere. Da quel recitare “in lingua”
passai con Eduardo e Titina al teatro Nuovo di Napoli>>.
In realtà però,mentre Eduardo è con
Carini,Peppino lo sostituisce presso Vincenzo Scarpetta:
<<Sostituendo Eduardo in Compagnia Scarpetta avrei
avuto modo,fosse stato anche per poco,di emergere in una
formazione artistica di primo rango e acquistare un certo
prestigio personale nell’ambiente teatrale napoletano,nel
caso che Scarpetta,riprendendo Eduardo nella compagnia,non
avesse ritenuto utile di tenermi ancora scritturato>>.
Presso Scarpetta,quando Eduardo conclude la sua esperienza
con Carini,rimangono poi entrambi: <<E fu proprio
in quei tempi che cominciammo a scrivere assieme.Volevamo
inventare un teatro tutto nostro,un teatro di pause e situazioni,che
s’allontanasse per quanto più possibile dalla
formula della “pochade”francese>>. Nel
27 Peppino scrive una farsa campestre in due parti Tutti
Uniti canteremo (che prenderà in seguito il titolo
Un ragazzo di campagna)e, probabilmente in questo stesso
anno,Trampoli….e cilindri!La prima farsa si rivela
un titolo “persistente” e accompagnerà
il repertorio fino alla fine dell’attività
di Peppino,che ancora nel ’78 ne propone una nuova
edizione televisiva.La tipologia del protagonista,un personaggio
timido,generoso e inverosimilmente impacciato,corrisponde
a una delle anime che abitano la recitazione di Peppino:
<<Mi piaceva quel tipo di ingenuo sposo ,così
credulone,che cade poi in una situazione penosa da perdere
la sposa proprio la sera delle nozze ,perché è
un ragazzo che si è fidato del sentimento fraterno>>.
Peppino De Filippo attore “disimpegnato”,in
<<Rivista del Cinematografo>> giugno 1965. Con
Eduardo ,alla sua prima esperienza di capocomico,interpreta
nell’estate del 27’ la rivista…che non
piacerà di Michele Galdieri al Fiorentini di Napoli,riscotendo
grande successo.Il sodalizio artistico tra i fratelli comincia
a qualificarsi come un’entità ben definita,e
non solo attraverso esperienze teatrali:il 10 Ottobre ’29
Peppino sposa l’attrice Adele Carloni ,sorella di
Pietro ,marito di Titina e a sua volta attore della futura
compagnia De Filippo. L’anno successivo nasce
il figlio Luigi .Durante l’estate,i tre fratelli insieme
avevamo messo in scena la rivista Prova generale da loro
scritta sotto gli pseudonimi R.Maffei ,G.Renzi, H.Betti,con
prologo e epilogo di Michele Galdieri. Durante l’estate
,fra le diverse scritture ,con la Compagnia di Vincenzo
Scarpetta Eduardo e Peppino,in diverse occasioni,reciteranno
a San Rossore per i Savoia,secondo una tradizione che proseguirà
poi anche durante gli anni del<<Teatro Umoristico
I De Filippo>>con il Principe e quindi con Reali:
<< A proposito del Principe di Piemonte ,che era un
frequentatore affezionato del nostro teatro,quando all’aprirsi
del sipario ne scorgevano la figura nel suo palco,tiravamo
un sospiro di sollievo.Quando non c’era,infatti,significava
il più delle volte che ,nel cuore della notte ci
aspettava a palazzo ,per offrire a questo o a quell’altro
gruppo di amici,in tutta intimità,una recita dei
De Filippo .Il suo aiutante di campo veniva a chiamarci
,qualche volte alle tre del mattino,e noi dovevamo rivestirci,racimolare
quel po’ di materiale scenico indispensabile e avviarci
verso Palazzo Reale. Gli inviti dei Reali nel teatrino di
corte di Villa Savoia a Roma invece durante il periodo del
Teatro Umoristico sono stati essenzialmente due (Peppino
De Filippo svela inediti fatti del tempo in cui recitava
con Eduardo, in << La Voce di Napoli>>. A questo
periodo data anche una serie di poesie in dialetto che Peppino
pubblicherà poi presso le edizioni Curcio nel 1952.
1930-32
Titina chiama i fratelli al teatro nuovo di Napoli ,dove
era ingaggiata,in sostituzione di Totò che aveva
improvvisamente abbandonato la Compagnia Moilinari per altre
scritture :i fratelli debuttano il 26 Maggio 1930 con la
formazione “Ribalta gaia”a cui partecipa anche
Agostino Salvietti nella rivista pulcinella principe in
sogno,che accoglie al suo interno l’atto unico Sik-Sik,l’artefice
magico,e che si risolve in un successo strepitoso. “Venco
io”,la battuta con cui Peppino e Salvietti si propongono
al compare,fa il giro di tutta Napoli e Sik Sik diviene
l’icona della nuova “generazione dialettale”,come
la stampa definisce i De Filippo.La Compagnia recita al
Teatro Olympia e al Teatro Nuovo di Napoli,poi a Montecatini
,a Palermo dove il successo è più tiepidone
a Roma in agosto,nella Rivista Colori di Moda. Dopo
lo scioglimento di “Ribalta gaia”,i De Filippo
tornano nella Compagnia Molinari e prendono parte a varie
riviste.Nei mesi successivi i tre fratelli danno vita a
diverse formazioni fra cui il “Teatro Umoristico di
Eduardo De Filippo con Titina e Peppino,che il 4 e il 9
Aprile 1931 presenta al teatro Nuovo Don Rafaele ‘o
trombone,Tutti uniti canteremo ,Miseria bella di Peppino
e Farmacia di turno di Eduardo. Peppino si dedica ora soprattutto
agli atti unici,più modulabili all’interno
delle riviste o nell’avanspettacolo dell’atto
unico come forma compositiva “folgorante”farà
anche in seguito appassionate difese.Fra gli altri, scrive
ora Armando paga! Sto bene con l’elmo (titolo che
compare affiancato ad altri,come ad esempio Una persona
fidatissima.Sono brevi farse con supponenze inesorabilmente
punite e situazioni rapidamente ribaltate :il dialetto è
realistico, “parlato”,vero: “Nel frattempo
la nostra preoccupazione era quella di scrivere. Quando
sarebbe venuto il momento,avremmo dovuto sentirci già
pronti.Con un repertorio nostro,per non incorrere nei lavori
di Murolo,di Bovio di Scarpetta,non certamente da scartare,ma
assai lontani dalla nostra concezione di recitare e di immaginare
la vita” Dopo un ritorno alla rivista , e un’
estate che li vede in vari teatri napoletani e a Montecatini,i
tre fratelli firmano un contratto con il cinema-teatro Kursaal:
a dicembre costituiscono il “Teatro Umoristico I De
Filippo” e il giorno di Natale mettono in scena Natale
in casa Cupiello,di Eduardo. E’ un atto unico (l’attuale
secondo atto) e il trionfo strepitoso prolunga la stagione
della compagnia oltre il previsto:Peppino nella parte di
Tommasino,figlio di Luca Cupiello ,riottoso maniacale,con
il suo tormentone su un presepe che non riesce ad amare
,risulta irresistibile e consolida la fama delle sue qualità
comiche,accanto alla fragilità insistita e pauseggiata
di un Eduardo ,che si presenta sulle scene come un “vecchio”padre
trentenne. In ossequio alle necessità di un repertorio
che deve cambiare ogni sera Peppino continua a produrre
una grande quantità di atti unici,che prendono subito
la via della scena,Uno, due…tre :oplà!Cinque
minuti dopo,Quale onore!,Una persona fidata,Caccia grossa!Aria
paesana,Spacca il centesimo ,Cupido scherza…e spazza
,Quel tale non so che e In bocca al lupo(le ultime due mai
pubblicate),usando lo pseudonimo di Bertucci (al quale tornerà
anche molti anni dopo: “Bertucci lo pseudonimo di
quanto ho cominciato a scrivere per il teatro umoristico…
Anche se Bertucci è legato a pochi lavori,non lo
rinnego,come nessun altra cosa di quel periodo” Massimo
Bontempelli in una calorosa recensione su “Il Mattino”
del 6 Giugno 1932 auspica una tournèe della giovane
compagnia nell’Italia del nord.Nel frattempo.durante
l’estate,comincia anche l’attività cinematografica
dei De Filippo con Tre uomini in frack, regia di Mario
Bonnard (ed.1933):per ora sono slo Eduardo e Peppino a presentarsi
sullo schermo,Titina si aggiungerà qualche anno dopo
in Sono stato io!(1937),versione cinematografica di un successo
teatrale della compagnia,Sarà stato Giovannino!,di
Paola Riccona. In autunno i fratelli con il teatro Sannazaro
un contratto nel quale Peppino figura come amministratore,Eduardo
come direttore artistico mentre Titina è regolarmente
scritturata. Abbandonati da Salvietti ,debuttano con la
commedia di Eduardo Chi è cchiù felice ‘e
me!e con l’atto unico di Peppino Amori e balestre!
Peppino inoltre riporta un successo memorabile nei panni
del cocchiere furfante fannullone nella commedia di Gina
Rocca,Sior Tita paron,che Eduardo adatta in napoletano.
Per la nuova stagione scrive Cicalata del tempo e del luogo,un
atto parodistico e musicale , a Coperchia è caduta
una stella e,in collaborazione on Titina,Quaranta …ma
non li dimostra,in due parti.
1933-34
E’ la stagione decisiva per la compagnia, e ne segna
la definitiva affermazione a livello nazionale, mentre le
scelte linguistiche del Regime, tendono a scoraggiare le
manifestazioni dialettali; a maggio del ‘33 è
in Puglia, alla fine di agosto conquista il nord, partendo
da San Remo, e proseguendo per Torino, Genova, Bologna e
infine Roma. Nella primavera dell’anno successivo
è a Milano. Intanto, a partire dalla primavera del
’33, i De Filippo stringono i rapporti con Pirandello
e Peppino in particolare affronta la riduzione in napoletano
di Liolà, trasponendo la vicenda nella marina amalfitana:
si dispone così ad interpretare un personaggio solare
scanzonato, protagonista assoluto della scena e ad affrontare
la sua prima riduzione di un autore importante. La prova
non solo è impegnativa, ma sposta sensibilmente il
tono del repertorio sbilanciandolo dalla parte di autori
estremi alla formazione e Peppino non è completamente
convinto: Liolà finirà con l’andare
in scena solo nel ’35 e rivelerà altre corde
nella sua recitazione. Un successo “comico”
personale Peppino lo riporta intanto in una commedia di
Lucio d’Ambra, Il granatiere di Pomerania, dove, in
un ambiente alto-borghese e in un clima da pochade, interpreta
un personaggio buono e generosa vessato dall’amico
Napoleone, affidato a Eduardo. Di genere boulevardier, la
commedia non viene ripresa nella stagione successiva e l’autore
si lamenta con peppino perché la Compagnia non ha
inserito nessun suo lavoro nel repertorio dell’anno.A
ottobre del ’33, dedicando ai tre De Filippo una conversazione
radiofonica, d’Ambra aveva contribuito a ratificare
ulteriormente il successo del trio: tre attori di questa
qualità si propongono come un fenomeno straordinario,
il loro gioco scenico è clamoroso e sovverte ogni
gerarchia di ruoli. Per chi non li ha visti è difficile
intenderne la portata la portata, ma il pubblico vivrà
la loro separazione , chiedendo di ricomporre quel “corpo
a tre teste” che è andato distrutto. Molti
registi cinematografici tenteranno, a varie riprese, di
ideare “il” film che avrebbe riunito i De Filippo
e persino Carmelo Bene racconterà di aver tentato
l’impresa di Don Chisciotte dove Peppino avrebbe dovuto
affiancare Eduardo nel ruolo di Rancho Panza. Nonostante
il momento così impegnativo, o forse proprio per
questo, Peppino torna a scrivere testi in tre atti , Notte
di bronzo 8 di cui non esiste più il copione), La
casa senza specchio ( messa in scena col titolo Lorenzo
e Lucia, poi pubblicata come I brutti amano di più)
La lettera di mammà ( in collaborazione con Maria
Scarpetta) in due parti, a vari atti unici, il ramoscello
d’olivo, Mezza parola( il copione reca scritto “
l’ho data nel 1934”), Al vero Maraniello ( una
variante mai rappresentata del procedente Trampoli…e
cilindri!). Tornano come protagonisti ragazzi poco intelligenti
e vessati, giovani uomini angariati dagli amici, perdenti
nella vita ma vittoriosi nel gioco scenico. Nel ‘
34 è documentata la prima segnalazione dell’attore,
che recita col fratello al Valle di Roma, nelle carte della
Polizia politica: “ Roma 19 novembre 1934" L’attore
napoletano Peppino De Filippo, attualmente al Valle, con
il fratello Eduardo: “ io immagino Chiacchiello (
il re) quando si mette la feluca! Dirà certamente,
con comica rabbia: Tu vide ‘ o padreterno che
me fa passà cu chillo pazzo, ma adda fernì,
adda fernì. Meno benevola è la censura nei
confronti del Cappello e tre punte, interpretato da lui
e da Eduardo per la regia di Mario Camerini dove vengono
tagliate alcune scene di sommosse popolari: è il
primo film in cui Eduardo e Peppino interpretano personaggi
che non devono far ridere e la cattiva sorte del film ,
che esce manomesso nel ’35, disturba particolarmente
i due fratelli.
1935-36
Peppino e Eduardo recitano in alcuni monologhi radiofonici
nel mese di febbraio, mentre ripropongono, in diverse città
commedie loro e di altri autori. A Maggio del ’35,
al teatro Odeon di Milano, rappresentano la versione napoletana,
adattata da Peppinho , di Liolà di Luigi Pirandello,
che assiste a buona parte delle prove, mentre in autunno
Eduardo comincia col drammaturgo siciliano la stesura de
l’abito nuovo, alla quale sono presenti anche i fratelli,
e chiede di poter adottare il berretto a sonagli. Siamo
in piena stagione Pirandelliana del teatro Umoristico: ai
titoli suddetti Peppino aggiunge LI’Uva rosa , da
Lumie di Sicilia- rappresentato per la prima volta al teatro
Fiorentini di Napoli l’11 febbraio del ’36,
qualche giorno dopo Il berretto a sonagli – in una
serata d’onore durante la quale recita anche sue composizioni
poetiche. I fratelli vengono scritturati inoltre per recitare
Questa Sera. Si recita a soggetto, di Pirandello, con la
regia di Giorgio Salvini, a Vienna, nell’ambito di
un congresso internazionale di teatro. Cominciamo anche
però una serie di dissapori interni sulla composizione
del repertorio che Peppino vorrebbe meno aperto agli autori
in lingua. Nell’ottobre del ‘ 35 era stata nache
rappresentata al teatro Politeama di Napoli una commedia
scritta insieme da Titina e Peppino, Ma c’è
papà, che affronta il tema dei rapporti familiari,
mentre, con un certo ritardo esce il film Quei due, regia
di Gennaro Righelli, che riprende il repertorio “
classico” del Teatro Umoristico, Sik-Sik, l’artefice
magico di Eduardo , Miseria bella di Peppino, qualche sketc
dell’Ultimo Bottone di Eduardo, scritta nel ’35.
Storie di giovani e vecchi l’uno contro l’altro
armati in nome di rapporti sociali più onesti e corretti:
si profila una seconda maniera del Teatro Umoristico; dato
l’ambiente sociale, la lingua – in particolar
modo nel testo di Peppino- si avvicina sempre di più
all’italiano. La Compagnia partecipa in questi anni
a varie iniziative benefiche; tra l’altro organizza
uno spettacolo per i soldati in partenza per l’ Africa
orientale e, come tradizione vuole, serate a favore delle
colonie anche permesso di recitare alcuni suoi testi alle
filodrammatiche giovanili. Nel ’37 alla radio Peppino
e Eduardo scrivono e interpretano lo sketch Primo amore.
1937-39
Nell’autunno del ’36 era morta Petrolini, e
quindi a dicembre muore anche Pirandello, poco dopo l’inizio
delle prove dell’Abito nuovo. La commedia va in scena
nell’aprile dell’anno successivo al teatro Manzoni
di Milano e viene riproposta poi a Roma. Peppino scrive
per il repertorio umoristico il terzo episodio delle comiche
avventure dedicate alla famosa coppia zio e nipote dell’Ultimo
Bottone, di Eduardo, Che bella serata! Ma scrive anche un
atto unico particolarmente feroce, Il compagno di lavoro!
che compare in una serata che il Teatro Umoristico dedica
alla memoria di Petrolini, insieme ad altri classici del
repertorio dell’attore romano , Il coraggio di Novelli
e Il Cortile di Martni. Questo è un delicato periodo
di passaggio : l’esperienza pirandelliana incide fortemente
sul percorso della compagnia; A Roma, a gennaio del ’38,
Uno coi capelli bianchi, di Eduardo e Un povero ragazzo!
Di Peppino allertano la critica che legge nella nuova produzione
una svolta in senso drammatico, e comunque una qualità
diversa della drammaturgia e degli interpreti: Ricorda in
proposito Vincenzo Malarico: "Rammento il protagonista
di una sua commedia, un “povero ragazzo” , un
giovanotto deluso e mortificato dibattendosi nel labirinto
della vita: con che irresistibili accenti, con che struggenti
toni rendeva Peppino la meschina odissea del suo personaggio,
in un’atmosfera di crepuscolare perplessità,
intrisa di riso e lacrime, scherzi e tristezza, ironia e
delore” Un Povero ragazzo!, che verrà riproposto
poi a Milano la stagione successiva, sarà il primo
testo di Peppino a essere pubblicato in “Il Dramma”
In precedenza, nel ’38, “ scenario” aveva
pubblicato a sua volta Uno coi capelli bianchi, di Eduardo,
tradotto in lingua Italiana. Consonante con questa ricerca
di un tipo e di un carattere più complesso del “mamo”,
del ragazzo riottoso o del giovane ottuso che aveva contraddistinto
le interpretazioni di Peppino, è la prima versione,
che risale a questo periodo, del Gorge Dandin molieriano,
che però non arriva alle scene del Teatro Umoristico.
Ma questo periodo è decisivo non solo in senso artistico:
entra ora, nel ’38, in compagnia Lidia Maresca. Recensendo
lo spettacolo dei De Filippo a Bari, A coperchia è
caduta una stella, il cronista segnala:
“ L’attrattiva maggiore fu costituita da Lidia
Maresca, la gentile attrice del Varietà, che è
passata al teatro di Prosa,… ebbene possiamo dire
che Lidia Maresca ha passato il Rubicone con pieno successo”.
Anche la carriera cinematografica in questi anni ha sviluppi
imprevisti:nel ’37 sullo schermo, come si è
detto, debutto anche Titina in Sono stato Io! , tratto dalla
commedia di Paola Riccona e diretto da Raffaello Matarazzo
mentre , nello stesso anno, cominciamo le riprese in L’amor
mio non muore, con la regia di Giuseppe Amato che vede per
la prima volta Peppino in qualità di sceneggiatore.
Ma soprattutto Eduardo e Peppino fondano la casa di produzione
cinematografica Delfim, destinata a fallire: il primo-ed
unico-film, di cui è regista Eduardo, In Campagna
è caduta una stella. Questo intenso periodo si conclude
con l’allontanamento di Titina che , in seguito a
una serie di dissapori, lascia la campagna del Teatro Umoristico
per entrare, insieme al marito Pietro Carloni, in quella
di rivista condotta da Nino Taranto. Alla compagnia viene
conferita la medaglia d’oro della Croce Rossa Italiana
per avere offerto uno spettacolo a favore dell’istituto
Cesare Battisti.
1940-41
A sanare il dibattito fra teatro italiano contemporaneo
e teatro di tradizione si profila la collaborazione con
Armando Curcio, che produce successi clamorosi, e consente
a Peppino interpretazioni memorabili in cui esaltare corde
divergenti e compresenti della sua recitazione: l’ingenuo
Vincenzino di A che servono questi quattrini?, e il gaglioffo
Gaetano Esposito de I Casi sono due . Peppino si conferma
sempre più erede raffinato di una grande tradizione
della maschera. E alla tradizione rende ulteriormente omaggio
con il suo adattamento del ’39 di Una donna romantica
e un medico omeopatico, di Riccardo di Castelvecchio, che
apparteneva già al repertorio paterno. L’allontanamento
di Titina sembra inaugurare una maggiore autonomia dei fratelli
rispetto alle attività della compagnia: Peppino comincia
nel ’40 a partecipare a film senza i fratelli (Notte
di Fortuna, L’ultimo combattimento) e a quest’anno
risale inoltre la sua prima collaborazione come disegnatore
per una rivista, “Mammina”. Questo è
anche però l’anno di una nuova affermazione
di Eduardo come autore con Non ti Pago, e di una grande
prestazione comune dei due fratelli. Peppino rinnova inoltre
i successi conosciuti in precedenza con il granatiere di
Pomeriana, che viene riproposta nel ’40, in occasione
della scomparsa di d’Ambra. Le recensioni plaudono
alla sua interpretazione “surreale” contro la
banalità della commedia. E’ ora un attore più
grande delle parti che recita. Al Quirino di Roma va in
scena una sua novità, Il grande attore!, atto unico
che aveva scritto nel’39 come sviluppo di una novella
sulle problematiche della fame e dei suoi fastidi- Ribalta
spenta, pubblicata nello stesso anno- ma il suo lavoro più
importante è l’adattamento di una bella commedia
di Darthès e Damel,…di Pasquale del Prado,
che affronta la storia a lieto fine di tre bambini illegittimi
che riescono a trovare una famiglia regolare, grazie al
personaggio solido e positivo interpretato da Peppino. Nel
’41 intanto il “Dramma” comincia a pubblicare
la maggior parte degli atti unici “prima maniera”
di Peppino, rigorosamente tradotti in italiano.
1942-43
Mentre Titina torna nella compagnia, e recita insieme ai
fratelli a Genova in La Fortuna con l’effe maiuscola
di Eduardo e Armando Curcio, Peppino scrive e rappresenta
una delle sue commedie di maggior successo, Non è
vero…ma ci credo! il cui titolo originale è
Gobba a ponente. Il ’43 invece vede l’insuccesso
del Diluvio di Ugo Betti, ridotto in Napoletano da Eduardo,
la cui messa in scena era annunciata già da molto
tempo e favorita dalla Direzione Generale dello Spettacolo:
per la sua realizzazione la compagnia aveva ricevuto per
la prima volta un contributo ministeriale. Il Teatro Umoristico
torna alla rivesta, realizzando Tombola al teatro Quattro
Fontane di Roma.
Eduardo e Peppino intensificano l’attività
cinematografica: A che servono questi quattrini? , di Esodo
Fratelli; Non ti pago!, di Carlo Ludovico Bragaglia; Casanova
farebbe cosi!, dello stesso Bragaglia, tratto da una commedia
scritta da Peppino insieme a Curcio; Non mi muovo!, con
la regia di Giorgio C. Simonelli; Ti conosco, mascherina
!, con la regia di Eduardo. Senza il fratello, insieme ad
Aldo Fabrizi e ad Anna Magnani, Peppino interpreta Campo
de’ Fiori, con la regia di Mario Bonnard.
1944
“ Nell’aprile del 1944 mi capitò un giorno
di parlare con mio fratello delle tristi conseguenze del
prolungarsi della guerra( da circa due anni i continui bombardamenti
non ci consentivano di lavorare e le nostre economie si
andavano sempre più assottigliando. Eduardo mi esortò
a non abbattermi : “Vedrai; Peppino appena la guerra
sarà finita potremo lavorare meglio di prima e soprattutto
con maggior libertà di idee”. La guerra, per
noi, era già praticamente finita appena un paio di
mesi dopo, con la occupazione di Roma da parte delle truppe
Anglo-Americane. Ma con questa arrivarono le requisizioni
dei teatri e noi rimanemmo a guardarli, mentre le nostre
economie, frutto di parecchi anni di lavoro confortato da
un successo addirittura internazionale, più che assottigliarsi,
andavano ormai decisamente scomparendo”
Anche nelle rare occasioni comuni che ancora si presenteranno-
un set cinematografico, una manifestazione culturale- il
miracolo della ricomposizione non avviene. La necessità
artistica che li teneva insieme era superata e conclusa:
ora ognuno doveva cercare la sua strada.
1945
Insieme al Teatro Umoristico è finita un’epoca:
non solo è “ scoppiata la pace”, ma è
scoppiata una società dello spettacolo che aveva
vissuto fino ad allora in regime di autarchia, le frontiere
si sono aperte e la nuova generazione di autori deve contendere
le scene a quel teatro europeo che ne era rimasto escluso,
Brecht innanzitutto.
Problematica appare anche la questione della lingua e ora
l’autenticità dei dialetti, contro l’artificialità
di un italiano “imposto” dalla politica cultural
fascista, sembra rispondere meglio alle istanze della stagione
neorealistica che vivono molti intellettuali italiani. Non
è più possibile però ritornare alla
situazione del teatro dialettale “prima” del
regime e ignorare quindici anni di nazionalizzazione della
lingua parlata attuata anche attraverso il cinema e la radio,
quanto piuttosto elaborare direzioni di ricerca che tengono
conto della nuova realtà del Paese.
Il progetto teatrale capace di contenere e valorizzare le
qualità specifiche di Peppino esita a prendere forma
autonoma: intanto c’è la Rivista, subito pronta
ad assorbirle e l’attore viene scritturato da Paone
nella formazione “romana” di Imputati alziamoci,
di Michele Gaidieri, mentre la formazione di giro prevede
la partecipazione di Totò. Eduardo invece, che all’inizio
del 1945 dà vita alla compagnia “ il teatro
di Eduardo con Titina De Filippo”, senza più
poter contare sull’appeal performativo de fratello,
stenta a reperire teatri che accettino il nuovo complesso.
E’ il Teatro San Carlo ad ospitare in una matinèe,
in via eccezionale, Napoli milionaria! , la prima commedia
con cui l’autore inaugura i “ giorni dispari”,
dando finalmente voce e respiro alla realtà di quegli
anni. Peppino è pronto solo in autunno: "Dopo
aver recitato per alcuni mesi in una rivista allestita da
Remigio Paone, riuscii finalmente a realizzare quello che
era da molto tempo il mio sogno: avere una mia compagnia
di prosa. La formai nell’agosto del 1945 e debuttai
a Milano, ottenendo un lusinghiero successo di pubblico,
e, per conseguenza, di cassetta”. All’Olimpia
di Milano il 24 agosto la Compagnia di prosa diretta da
Peppino De Filippo si presenta con I casi sono due, di Armando
Curcio. E’ una scelta di continuità, e di “parte”:
Peppino opta non tanto per un testo ma per un teatro in
cui trasferire tutta intera quella grande tradizione comica
italiana - dalla Commedia dell’Arte in poi –
che sente di poter decantare all’interno della contemporaneità.
L’appuntamento si rivela innanzitutto un “ Appuntamento
con un’interpretazione”: “Naso arrubinato
delle sbornie e occhi avidi, fronte distrutta da una raffica
rugginosa di capelli e tono acerbo, il protagonista peppinesco
rivela subito l’indole manigolda e, grattato il ciuffo,
prillato lo sguardo, buttato fuori la voce, il cuoco Gennaro
è già una definizione. Avvertiamo subito la
carogna. Esce da un’esile macchietta un personaggio
solidissimo; da un gracile abbozzo, un ribaldo concluso…
il cuoco Gennaro è la grande costruzione di una buffoneria
asperrima. Una canaglia magnifica. Un fetente sublime…”
Peppino si è messo dalla parte dell’attore/maschera-
e della farsa- e il cui Gennaro Esposito, uno dei suoi maggiori
successi, diventa l’erede del “cocchiere”
del Padrone sono io di Gino Rocca e il padre del futuro
Pappagone.
Mentre l’attore è sicuro dei suoi personaggi
e cercherà di assicurare loro un percorso ampio
che colleghi insieme tradizione popolare e teatro classico
– già in quest’anno presenta alla Censura
la sua traduzione del Dandin Di Molière – l’autore
risente della complessità del momento e si concede
i tempi di cui una riflessione necessita: non a caso ricorre
alle collaborazioni, mentre cerca di assicurare alla compagnia
gli antichi autori del Teatro Umoristico, Curcio, Maria
Scarpetta, Paola Riccona, d’Ambra, Grassi, e soprattutto
Pirandello. Fra le novità intanto propone Il Simulatore,
tre atti, scritti in collaborazione con Rino Albertarelli.
Adatta anche Biberò, da un testo di Jean de Letraz
e lo mette in scena al teatro Valle. Da solo scrive Al Caffè
(o al Bar), che però non rappresenta né pubblica.
1946-47
Come in precedenza, Peppino ritrova ora la linea della scrittura
a partire dalla “linea del personaggio”. Ma
il suo “ragazzo” – ottuso o astruso che
sia – ora è maturato: e per necessità
biologiche – l’età e il fisico sono diversi
– e perché non ha più un attore come
Eduardo – padre/suocero/zio o fratello maggiore –
cui opporsi. Le parti che nelle sue commedie o farse erano
del fratello, ora diventano sue. Peppino deve anche reinventare
un tessuto connettivo che sostituisca la partitura “sonora”
che i tre fratelli stabilivano in scena, in questa congiuntura
propone allora la lingua comica su “base” italiana:
«Eduardo rifiutò il cognome, Peppino il dialetto»
recita il sottotitolo di un articolo di Radice (s.t., 14
dicembre 1947, in ACS, aPDF,b. 33). Già ne I casi
sono due aveva ambientato la farsa a Milano e liberato il
suo personaggio dal dialetto napoletano: «Il dì
seguente nessuno della “critica” seppe o vuole
registrare l’enorme successo della nuova e azzardosa
forma di “teatro italiano” moderno, in senso
realistico e naturalistico […]. Si capisce che un
“teatro” siffatto, come io lo immaginai e poi
attuai, oltre all’andamento di qualche vecchio testo,
mi costrinse a scriverne di nuovi» (Una famiglia difficile,
p. 376).
Su questa linea Peppino riprende a scrivere, e fra il ’46
e il ’47 ha una produzione abbondante anche se aspetta
circa due anni prima di andare in scena con novità
proprie: non a caso, sempre alla ricerca di una continuità
in cui rinnovarsi, ribalta lo schema già collaudato
dal suo successo d’autore più clamoroso, Non
è vero… ma ci credo! E scrive Il contrario
dell’altra ovvero L’ospite gradito! L’anno
dopo, scrive la commedia Qual bandito sono io! (1947) e
Per me cose se fosse! Non si sottrae intanto a raccontare
in chiave grottesca, al teatro Valle di Roma, la storia
recente – le giornate dell’occupazione –
che diventano Quelle giornate, due parti e quattro quadri
scritte in collaborazione con Maria Scaretta; con lei scrive
anche Caro nome. Nel ’46 rinnova la collaborazione
con Curcio, e insieme scrivono C’era una volta un
compagno di scuola.
A capo di una formazione, dove recita insieme alla sua compagna,
libero anche dai vincoli matrimoniali. Peppino è
confortato dal successo: la compagnia compie una prima tournèe
fuori dall’Italia, a Lugano. Estende intanto il repertorio
al teatro italiano contemporaneo, o meglio, a quella generazione
che stentava ad affermarsi a causa dell’”invasione”
– salutare ma penalizzante – degli autori stranieri:
Terron, ad esempio, di cui mette in scena Il diamante del
profeta (I denti dell’eremita) e Betti, cui chiede
I nostri sogni. Propone inoltre L’uomo, la bestia
e la virtù di Pirandello e A che servono questi quattrini?
di Armando Curcio. In questo senso vanno anche letti i suoi
tassativi ordini del giorno: «Mi permetto poi di chiarire
ed affermare a chi forse, crede di poter essere poco diligente
e volenteroso nel recitare un lavoro che si ritiene e si
giudica del genere farsesco, che la “farsa”,
se non è recitata con lo stesso impegno che sempre
si adotta peri lavori di testo (Sartre, Salcrou, ecc. –
e questi nomi circolano incessantemente nella mia Compagnia)
non è più un genere di spettacolo, che fra
l’altro, ha creato tanti grandi Attori, ma uno scherzo
cretino “tipo accademia”, senza alcuna forma
d’arte, che danneggia artisticamente e moralmente
gli stessi attori che la recitano» (in ACS, a PDF,
b. 38).
Mette in scena fra l’altro Il medico e la pazza di
Alessandro DE Stefani e Hobbes Cecchini e Accidenti…
che tranquillità di Taylor e Newmeyer. Anche al cinema
la sua interpretazione riprende una tradizione precedente
a Io t’ho incontrata a Napoli, di Pietro Francisi
presenta fra gli altri un episodio ripreso da Oje Marì…
oje Marì, l’atto unico di Dino Falconi che
aveva accompagnato nel ’36 la prima rappresentazione
del Teatro Umoristico del Berretto a sonagli, di Pirandello.
Con lo stesso regista interpreta anche Natale al campo 119.
Ma il cinema, come il teatro, comincia a sembrargli piccola
cosa per la sua statura di interprete: «Che vuole
– ci dice – io, De Sica e Fabrizi dovevamo inventare
la sceneggiatura per conto nostro, giorno per giorno. Io
che a teatro non recito mai a soggetto ero costretto a improvvisare
di continuo» (Sandro Bolchi, Peppino vuol bene a Molière,
in «Il Progresso d’Italia», 18 maggio
1948, in ACS, aPDF b. 42). Intanto anche il suo “teatro
vecchio”, in quest’ottica, progressivamente
torna ad essere teatro nuovo e la revisione linguistica
adatta alla nuova prospettiva quei testi che la pubblicazione
negli anni quaranta non aveva già radicalmente mutato
rispetto al copione originario.
1948-49
«È tornato Peppino!» annuncia la stampa
(Giovanni Calendoli, in «La Repubblica d’Italia»,
7 Aprile 1948) all’andata in scena di Quel bandito
sono io!, che realizza nel corso dell’anno duecentocinquanta
repliche: l’”onestuomo” si sdoppia con
il sosia bandito e gaglioffo, ma l’attore, più
che riunire i due versanti delle sue interpretazioni, esalta
la capacità di passare improvvisamente dall’una
all’altra, secondo la tradizione secolare del “doppio”
e il pubblico impazzisce per lui. Meno la critica, quella
che lo aveva amato al tempo del Teatro Umoristico, e che
rimane sconcertata dall’abbandono del dialetto. Ad
aprile ’48 una corrispondenza con d’Amico documenta
le perplessità del critico che danno luogo
a d una appassionata difesa da parte di Peppino, e costituisce
un documento importante per la storia del teatro di quegli
anni(cfr. p. 86 sgg. del presente volume). Qualche scetticismo
lo incontra anche la ricerca spasmodica della sua “maschera”
all’interno della produzione classica: il Dandin di
Molière, sogno accarezzato già nel ’38,
va in scena a Milano al teatro Gerolamo con il “Circolo
dell’Arlecchino” di Manuer Lualdi nel gennaio
del ’48. E Peppino pensa già al Bugiardo, di
Goldoni: «Per Peppino è difficile alimentare
il repertorio con altri lavori, in quanto non riesce quasi
mai a trovare in essi una completa rispondenza al suo temperamento
[…] Peppino ha tutti i mezzi per essere un eccellente
interprete molierano […] ed ecco che pensa al Borghese
gentiluomo, al Misantropo […]. Anche Goldoni lo attira,
studia il Bugiardo» (Peppino vuol bene a Molière,
cit.) E pensa anche di rivolgersi a Simoni o a Giannini
per la relativa regia. Nel ’49 però, fra Molière
e Goldoni, Il piccolo caffè di Tristan Bernard al
teatro Quirino di Roma si conferma come uno dei successi
più stabili del repertorio. Intanto scrive e mette
in scena Il campo del Signore (Quel piccolo campo), dove
avidità di “roba” e bigotteria di campagna,
già presenti nella commedia di Terron Il diamante
del profeta, vengono riproposti e “addomesticati”
in altre trame. La commedia registra due mesi di repliche
al teatro al teatro Quirino di Roma e Peppino ne ricava
anche un trattamento per un film che non si realizza. Ora
che l’attività di scrittura è ripresa
in pieno, si lamenta con Lucio Ridenti di non trovarne adeguato
riscontro sulle pagine del «Dramma». I suoi
testi, prima dell’edizione completa, verranno pubblicati
d’ora in poi, si «Teatro» e quindi su
«Scenario». Scrive anche Gennarino ha fatto
il voto, mentre si apre invece la polemica con Curcio sulle
attribuzioni delle opere scritte in comune, che verrà
risolta l’anno seguente con un accordo per cui C’era
una volta un compagno di scuola viene ascritta al solo Peppino.
Gli impegni teatrali sacrificano quelli cinematografici
e Peppino “manca” la partecipazione al film
di Mario Soldati tratto dalla sua commedia Quel bandito
sono io! Mentre partecipa a Biancaneve e i sette ladri,
regia di Giacomo Gentiluomo (ed. 1950) e a Vivere a sbafo,
regia di Giorgio Ferroni (ed. 1950).
1950-51
È un periodo segnato artisticamente soprattutto dalla
partecipazione al film di Lattuada e Fellini, Luci del varietà.
Fellini “ritrova” in Peppino , che aveva visto
recitare a teatro molti anni prima, un «tipo italiano»,
che vorrebbe interprete di vari film, più di quelli
che saranno poi realmente realizzati insieme. Intanto mondo
del cinema e mondo dei guitti – le diverse “società
della commedia” – si presentano nella produzione
teatrale di Peppino, Pronti? Si gira! e I migliori sono
così (Si debutta domani). Scrive ancora Pranziamo
insieme! D’amico, che lo segue con affetto pur dissentendo
dalle sue scelte, lo allerta sui pericoli del Bugiardo goldoniano,
ma ammette che: «Tutto lo scherzo, strampalatissimo
ma estroso, è fondato sulla magnifica vena di Lelio:
e sa il cielo, nonché gli spettatori di tutta Italia,
se tu sia capace di dar vita scenica a un lestofante di
quel tipo lì» (Silvio d’Amico a Peppino
De Filippo, Roma, 11 giugno 1951). Un altro classico si
profila all’orizzonte: Le corna di Don Friolera, di
Ramon del Valle Inclàn, proposto da Anton Giulio
Bragaglia: «Intanto erano nati i cosiddetti “grandi
spettacoli” ed io, per ovvie ragioni di prestigio,
cercai di allinearmi con loro: ma al solito, dovevo fare
tutto con le mie sole forze. Misi in scena (al Quirino di
Roma) Le corna di Don Friolera di Ramon del Valle Inclàn»
(Peppino a Nino Longobardi, cit.) Peppino «pensa,
con questo suo spettacolo in due tempi e 14 quadri, di aver
dato un primo avvio al suo sforzo di avvicinare le risorse
del cinema a quelle del teatro. Egli sogna per l’avvenire
un teatro dotato di risorse tecniche, apparecchi sonori,
apparecchi di proiezione, girevoli, macchine di ogni genere,
e le più moderne, tali da consentire allo scrittore
e al regista la più ampia libertà di ispirazione»
(Giorgio Prosperi, Peppino e la tragedia, in «Settimana
Incom», 15 dicembre 1951). Si riattiva, in questa
impresa, anche la collaborazione con Mario Pompei, fra i
primi scenografi di Pirandello, che per il Teatro Umoristico
aveva curato le scene di Liolà. L’entrata in
compagnia del figlio Luigi, che pian piano si prepara ad
avvicendarsi a lui in quelli che erano stati i suoi ruoli,
ricostituisce nel frattempo la “famiglia d’arte”
– questa volta la vera famiglia di Peppino –
in seno alla compagine artistica: «Non l’avevo
mai spinto verso il teatro, al contrario mi compiacevo nel
raccontargli dei sacrifici che io tanti anni prima avevo
vissuto […] Quel primo anno gli feci piovere sulle
spalle tutte le parti da cameriere con una o due battute»
(Peppino De Filippo racconta la sua vita…, cit., p.60).
Carnevalata, poco più di uno scherzo scritto in questo
periodo, presenta di nuovo fra i personaggi quel giovane
riottoso ad ogni imposizione paterna che partecipava degli
esordi del Teatro Umoristico.
Al cinema, Peppino interpreta fra l’altro Signori,
in carrozza!, di Luigi Zampa e La famiglia Passaguai, di
Aldo Fabrizi.
1952-53
Peppino entra ora in un periodo estremamente creativo per
il teatro e intenso per il cinema; per le scene, scrive
moltissime pièce: Un ragazzo per modello (mai rappresentata),
Il talismano della felicità, Un suicidio collettivo,
Io sono suo padre!, Un pomeriggio intellettuale, in cui,
con il nome di Peppino Filippelli se la prende con il costume
culturale dell’epoca e difende l’onesto artigianato
teatrale di tradizione italiana contro le mode esterofile.
Ma soprattutto scrive Le metamorfosi di un suonatore ambulante,
la sua commedia forse più importante del dopoguerra,
rifacimento – secondo quanto lui stesso dichiara –
di un testo anonimo del Seicento. Più che essere
una pièce, l’opera costituisce un progetto
di teatralità, dove farsa, tradizione dei caratteri,
Commedia dell’Arte, operetta, opera buffa, trovano
una regia scenica articolata e complessa, per la quale Peppino
non lascia nulla al caso e per cui scrive anche le musiche.
La commedia va in scena però solo successivamente.
È un periodo importante anche dal punto di vista
cinematografico, ma in prospettiva diversa da quella che
sembrava profilarsi nel ’50: nel ’52 interpreta
infatti l’edizione cinematografica della sua commedia
Non è vero… ma ci credo!, diretto da Sergio
Grieco e soprattutto Totò e le donne, diretto da
Steno, film con cui si inaugura la fortunata coppia Totò/Peppino,
anche se in questa prima uscita in comune la “coppia
comica” di fatto ancora non c’è e Peppino
si propone come maturo e contegnoso aspirante di Totò,
“bravo ragazzo”, anche un po’ serioso.
È a partire dai film successivi che la coppia si
afferma in quanto tale. Sempre nel ’52 per la prima
volta dopo la separazione, il set riunisce i tre fratelli
nello stesso film, Ragazze da marito, per la regia di Eduardo.
I giornali tentavano da tempo lo scoop di una riconciliazione
– In casa De Filippo trattato di pace, si leggeva
su «Epoca» dell’ottobre 1951 – e
di una nuova collaborazione artistica. I rapporti personali
peraltro non si erano mai interrotti ed è vero che,
in vista della riapertura del teatro di Eduardo –
il San Ferdinando di Napoli – qualche prospettiva
di lavoro sembra avviarsi. In vista del centenario di Scarpetta
(1954) Peppino riduce e mette in scena Napoli antica di
Eduardo Scarpetta e Teodoro Rovito (1952). Alla tradizione
napoletana però Peppino si accosta ora con un altro
progetto, quello cioè di un film sulla vita del più
grande pulcinella dell’Ottocento napoletano, Antonio
Petito, progetto che sottopone a De Sica. Questi però
sta girando L’oro di Napoli, tratto dai racconti di
Marotta, e non è disponibile. Altri soggetti depositati
alla SIAE – Il soldato Santa Lucia, Un uomo venuto
dal Sud – sempre nel’53, attestano l’interesse
che Peppino nutre in questo periodo nei confronti del cinema
e la straordinaria produttività che caratterizza
questi anni. Per la sua attività teatrale gli viene
conferita nel ’53 la Commedia dell’Ordine al
merito della Repubblica. Nel ’52 pubblica, presso
Armando Curcio editore, Poesie 1929-30 e invia a d’Amico
per una prima lettura i testi delle sue favole. Le fiabe
vengono pubblicate nel’54 con la presentazione di
Bontempelli (Il fu Bobò: tavole umoristiche, Roma,
Armando Curcio editore).
Altri di questo periodo sono Siamo tutti inquilini, regia
di Mario Mattoli; Martin Toccaferro, regia di Leonardo De
Mitri (ed. 1954); Un giorno in pretura, regia di Steno (ed.
1954); Via Padova 46, regia di Giorgio Bianchi (ed. 1954).
1954-55
A dieci anni circa dalla separazione dai fratelli, è
tempo di bilanci e Peppino conclude in positivo; ha preso
ora in gestione il teatro delle Arti, che terrà per
circa dieci anni e comincia un’attività più
complessa ospitando anche altre esperienze teatrali significative.
«Scenario» gli chiede di poter pubblicare un
atto unico a sua scelta fra Un suicidio collettivo e Un
pomeriggio intellettuale.
La Compagnia è presente in diverse città con
“classici” dell’antico repertorio, Non
è vero… ma ci credo! al Casinò municipale
di San Remo, La lettera di mammà a Milano e poi a
Napoli. Fra le novità rappresenta Un suicidio collettivo
al teatro Olimpia di Milano e, successivamente, Un pomeriggio
intellettuale, scritto in precedenza. Nella stagione ‘54/55
ripropone Tre poveri in campagna, uno scenario della Commedia
dell’Arte che rea stato già sperimentato nel
Teatro Umoristico. Il cinema invece offre piuttosto routine,
ma il numero delle partecipazioni è cospicuo: ben
undici interpretazioni fra cui si segnalano Il segno di
Venere, regia di Dino Risi; Accadde al penitenziario, regia
di Giorgio Bianchi; e Cortile, regia di Antonio Petrucci,
insieme a Eduardo. L’altra grande novità del’55
è la televisione che ha cominciato da poco le sue
trasmissioni. La prima apparizione di Peppino è in
Ventiquattr’ore di un uomo qualunque, di Ernesto Grassi,
interpretata dalla Compagnia del Teatro italiano con la
sua regia teatrale – in una registrazione del teatro
della Arti. Il testo, andato in scena per la prima volta
al Sannazaro nel ’34 con il Teatro Umoristico, tratta
le vicende comico/patetiche di un poveruomo che tenta una
sporadica e impossibile evasione dalla prigione coniugale:
nel suo segno si inaugura una presenza sui teleschermi destinata
a essere lunga e proficua.
1956-57
Le metamorfosi di un suonatore ambulante va in scena al
teatro Olimpia di Milano e costituisce una novità
che incontra grande successo di pubblico e critica. Lo spettacolo
porterà Peppino a Parigi e a Londra e sarà
riproposto in molte sedi, quasi una sorta di manifesto sul
modo di rileggere e contaminare la tradizione comica. Gli
“Studi” di questi anni, quelli più volte
dichiarati su Goldoni e Molière, ma anche evidentemente
sulla produzione paterna, sui francesi, sui libretti di
Rossini e sull’operetta producono uno spettacolo in
cui Peppino “suonatore” è una presenza
carismatica che interviene con alcuni numeri famosi –
la statua movibile, l’infante baffuto, e così
via – in una macchina spettacolare in cui i caratteri
– il vecchio avaro, il «mamo», il servo
furbo – vengono lasciati ad altri attori. In questa
prospettiva forse, torna a chiedere agli eredi di Lucio
d’Ambra, che aveva scritto il testo appositamente
per i De Filippo all’inizio degli anni trenta, l’autorizzazione
a rappresentare L’allegra corte di Capodimonte –
molto vicina a questa concezione teatrale. Come allora,
anche questa volta lo spettacolo non si realizza. Torna
invece ai grandi “caratteri” con Aulularia di
Plauto, nella traduzione di Giulio Pacuvio. La scrittura
ha un momento di pausa: probabilmente a questo periodo risale
Dietro la facciata. In giugno la Compagnia parte per la
tournèe in Brasile, Argentina e Uruguay – nel
corso della quale mette in scena anche Aulularia di Plauto
– che ha grande risonanza sulla stampa locale, e durante
il viaggio in piroscafo recita Spacca il centesimo. Piuttosto
che il testo di d’Ambra, degli antichi progetti, Peppino
nel ’57 riprende Pirandello, Il berretto a sonagli
e Amicissimi, la novella alla cui sceneggiatura aveva collaborato
il figlio di questi che era stata richiesta dal Teatro Umoristico
sin dal ’38, dopo l’andata in scena dell’Abito
nuovo. Fra le novità di altri autori, I nostri cari
bambini, di Nicola Manzari. Sullo schermo intanto esplode
la fortuna della coppia Totò/Peppino – ratificata
anche nel titolo dei film – di cui La banda degli
onesti, Totò, Peppino e i fuorilegge (per il quale
Peppino riceve il nastro d’argento come migliore attore
no protagonista); Totò, Peppino e la… malafemmena,
tutti di Camillo Mastrocinque, rappresentano gli esempi
più famosi. Nel ’56 intanto, sul programma
nazionale della televisione, in diretta dal teatro delle
Arti erano andati in onda per la prima vota due testi di
Peppino recitati dalla sua compagnia, Aria paesana, e Pranziamo
insieme.
1958-59
Gli ultimi giorni del ’57, nell’annunciare per
la prossima stagione una ripresa di una commedia a lui cara,
Un ragazzo di campagna, e la novità scritta alcuni
anni prima, Si debutta domani (I migliori sono così),
Peppino rilancia una vecchia polemica: «”Sovvenzioni”
per me è una parola vaga e lontana: nessuno me ne
ha mai promesse, e io non ne ho mai chieste. Anzi, sono
dell’opinione che esse siano dannose al teatro: perché
sovvenzionare una compagnia valida artisticamente e commercialmente
significa regalare a chi non ne ha bisogno i soldi del contribuente;
dall’altra parte sovvenzionare una formazione mediocre
significa regalare questi stessi a chi non li merita».
Questo periodo reca i segni di alcune collaborazioni con
Eduardo, non tutte realizzate: Non è vero…
ma ci credo! – come per qualche anno altre commedie
di Peppino – va in scena al teatro San Ferdinando,
che propone un repertorio di tradizione napoletana e Paolo
Grassi, per la stagione ‘58/59 gli offre – senza
successo – il ruolo di Marchetiello in Pulcinella
che va cercando la fortuna sua per Napoli, di Pasquale Altavilla,
per la regia di Eduardo. Per il film Fortunella, di cui
Eduardo cura la regia, e di cui è soggettista e sceneggiatore
insieme a Fellini, Pinelli e Flaiano, i piani di lavorazione
assicuravano (1957): «accanto alla Masina saranno
i due De Filippo e ciò aumenterà l’atmosfera
smagata, grottesca malinconica del film». Il
ruolo invece sarebbe poi stato sostenuto da Alberto Sordi,
ma nell’argomento del film – una povera donna
sfruttata e maltrattata dal suo compagno, che sogna di essere
figlia di un gran signore, e che verrà accolta poi
in una compagnia di guitti – si riconosce qualche
segno di un antico sodalizio fra Fellini e Peppino. In questo
periodo, Peppino scrive Noi due!, Tutti i diavoli in corpo,
Pater familias, e ritorna nuovamente sul tema dell’avaro
con L’avarissimo (Euclione ’57), tre atti che
diventano in seguito L’amico del diavolo e che andranno
in scena molto più tardi, mentre ora vanno in scena
i suoi adattamenti di Lavedan, La collana di cento noccioline,
e di La Porte, Buon appetito signor commissario. Alla Casina
Valadier di Roma Peppino festeggia nozze d’oro col
teatro. Al teatro delle Arti, mette nuovamente in scena
Le metamorfosi di un suonatore ambulante. Avere un “luogo
proprio” consente una serie di iniziative a carattere
continuativo; a partire da questo momento, ad esempio –
e per un discreto numero di anni – con regolarità
la programmazione teatrale delle Arti va in onda sul programma
nazionale della televisione. Prende parte ad alcuni Caroselli
pubblicitari. Fra le interpretazioni cinematografiche di
questo periodo si segnalano soprattutto Policarpo ufficiale
di scrittura, di Mario Soldati, dove l’attore disegna
con economia di tratti il riserbo e il contegno di un burocrate
torinese e Ferdinando I re di Napoli, di Gianni Francolini,
con Eduardo e Titina (avrebbe dovuto esserci anche Totò,
se la salute glielo avesse consentito, ma viene sostituito
da De Vico), dove interpreta magistralmente la figura del
re gaglioffo e lazzarone. I due film, a carattere storico
e in costume, sono grandi produzioni, con cast eccellenti,
dove Peppino è rispettivamente coprotagonista e protagonista.
1960/65
Peppino ora “abita” un teatro. Le Arti
ospita diverse manifestazioni culturali, archivia e conserva
la programmazione corrente, fra cui figurano anche compagnie
straniere di particolare interesse, promuove i lunedì
per gli studenti a prezzi popolari, e quindi i “giovedì
letterari” che si concludono ad aprile del ’60
con la lettura e la discussione di Natale in casa Cupiello
di Eduardo. I temi trattati vanno dalla Commedia dell’Arte
al teatro italiano contemporaneo al teatro dialettale alla
drammaturgia francese e vi intervengono fra gli altri Diego
Fabbri, Vito Pandolci, Aldo Nicolaj, Federico Zardi. Si
danno inoltre letture interpretative di contemporanei <<
spesso inediti, altre volte rare o difficile interpretazione
scenica (vuoi per la difficoltà scenografiche, vuoi
per veti di censura)>>. E’in questa sede che
trovano ospitalità, fra gli altri, I marziani, di
Zardi, La governate, di Brancati, Lo spettatore notturno
di Peyrefitte.
La programmazione sfrutta il repertorio consolidato, che
viene ripreso anche in tv. Il rapporto con la televisione
si fa in questo periodo particolarmente intenso: invitato
nel’60, insieme alla sorella Titina (Eduardo non aveva
voluto partecipare) alla trasmissione di D’Anza, il
Novelliere. Peppino dedica quasi per intero al nuovo medium
la sua scrittura , alla quale guadagna una nuova partnership,
quella del figlio. In collaborazione con Corrucci e Grimaldi,
Peppino e Luigi scrivono infatti sei originali televisivi
– Date a Cesare, Salvate mio figlio, Le nozze d’argento,
L’esperto di riserva, Tutto fare cercasi, Una canzone
nel cassetto – che vengono registrati nel ciclo Peppino
al balcone (1961).
Durante il ’61, dopo progetti e tentativi mancati,
Peppino gira con Fellini quella che considera la sua migliore
interpretazione cinematografica, il dottor Antonio di Le
tentazioni del dottor Antonio, in Boccaccia ’70 (secondo
episodio, ed. 1962): il lato puntiglioso e maniacalmente
“preciso” degli onestuomini cui Peppino ha dato
vita per tanti anni, viene trionfalmente travolto dai seni
straripanti di Anita Ekberg e vi trova fine gloriosa.
Si conclude nello stesso periodo la serie che lo ha visto
insieme a Totò. Il tentativo in corso nel ’63
di moltiplicare due per due (già iniziato in Totò
contro i quattro) ricorrendo a Macario, Nino Taranto e Aldo
Fabrizi ( I quattro monaci, I quattro moschettieri, di Carlo
Ludovico Bragaglia, Un’opera buona, secondo episodio
de I quattro tassisti, di Giorgio Bianchi, 1963), non colma
il vuoto lasciato dalla coppia più celebre del cinema
italiano.
Peppino prende ora la via dell’Europa: << Ricevetti
dall’amico Planson una lettera riservatissima circa
l’assegnazione dei premi della stagione teatrale 1963
del Teatro delle Nazioni. […] Quando c’incontrammo
mi disse che la giuria, all’unanimità, mi aveva
assegnato il premio per il miglior “metteur en scene”,
avendo cura di precisarmi che la motivazione del premio
voleva significare non solo un riconoscimento per la “regia”,
bensì per l’interpretazione come attore, per
la validità del testo farsesco e per quello musicale.
[…] Io non stavo più nei miei panni. Mi pareva
di ascoltare cose che riguardassero un’altra persona.
Ma chi mai mi aveva riconosciuto tanti bei meriti in Italia?>>
Al Festival del Theatre des Nations di Parigi, Peppino viene
premiato per le metamorfosi di un suonatore ambulante e
l’anno successivo partecipa alle celebrazioni in occasioni
del IV centenario della morte di Shakespeare a Londra dal
6 al 18 aprile mentre Le metamorfosi viene rappresentato
all’Aldwych Theatre. Quindi, nel ’65 porta il
testo in Unione Sovietica, in Polonia e in Cecoslovacchia.
L’esperienza viene raccontata da Peppino in un colorito
articolo, che suscita le rimostranze delle autorità
sovietica.
Sul programma nazionale della televisione (che nel ’62
ha inaugurato anche il secondo programma, all’interno
del quale la prosa accoglie il primo ciclo del “Teatro
di Eduardo”) Peppino viene proposto come interprete
dell’Avaro di Molière dal Teatro delle Novità
di Manuer Lualdi e allo stesso tempo nel varietà
televisivo Smash. Su questa linea ancora l’anno successivo
Peppino si ripropone in quel Dandin, aveva personalmente
tradotto e messo in scena da molti anni e in un Intervallo
(pubblicato poi come Omaggio a Plauto) che ripercorre i
grandi “avari” della storia del teatro. Fra
i classici, affronta nella stagione teatrale ’64 -
’65 La mandragola di Niccolò Macchiavelli al
Teatro delle novità di Maner Lualdi. La novità
che presenta in questo momento è L’amico del
diavolo, che aveva scritto nel ’58.
Fra i progetti di questo periodo quello su Pulcinella, inviato
alla Rai e un testo, depositato alla SIAE, Salvatore di
Giacomo (La sua vita cantata e musicata), 1963. Mentre l’attività
di commediografo rallenta, Peppino comincia a lavorare alla
prima edizione della raccolta delle sue piéce, Farse
e commedie, che esce presso Marotta nel ’64 in due
volumi: dalla sua produzione esclude un discreto numero
dei primi testi che recupererà poi nella seconda
edizione in quattro volumi (1971). La corrispondenza con
Marotta mostra come già dopo la prima edizione delle
commedie, Peppino si stia dedicando al suo libro di memorie,
Una famiglia difficile , che annuncerà in varie occasioni
anche alla stampa. Pensa nel ’65 a uno spettacolo
su Felice Sciosciammocca, ma la scarsa disponibilità
degli eredi Scarpetta ne ostacola la realizzazione. Riunisce
quindi in Don Felice affamato tra un invito a pranzo, un
amico scultore e due poveri in campagna i tre atti unici
Il ramoscello d’olivo, Miseria bella e Tre poveri
in campagna che presenterà nella stagione del teatro
San Ferdinando. Il ’63 si era concluso con un evento
luttuoso; il 26 dicembre moriva la sorella Titina:
<< Titina mia, quella mano sulla spalla io l’ho
sempre sentita poi, è stato come se con quel gesto
tu mi accompagnassi per la vita>>
1966/71
La creazione più originale di questo periodo è
ancora una volta televisiva: nel ’66 conduce Scala
Reale (che sostituisce Canzonissima) e inventa il personaggio
di Pappagone, nel cui “carattere”confluisce
tutta intera una tradizione oramai più che trentennale
di personaggi astutamente ottusi, non ultimi il cuoco de
I casi sono due. Ma la vera invenzione è una lingua
italiana giustiziata nel senso e nel suono, che diventa
immediatamente popolarissima, come testimoniano il numero
incredibile di lettere che riceve dagli spettatori. Nonostante
le numerose offerte cinematografiche, Pappagone, per scelta
del suo autore, resterà un personaggio solo televisivo
e al cinema farà solo qualche apparizione straordinaria
(Rita la zanzara, 1966; Non stuzzicate la zanzara, 1967,
di Lina Wertmuller). Nel ’68 pubblica Ecque qua..Pappagone
(Roma, Ed. Gallo Rosso) e invia il volume in omaggio al
Museo delle Tradizioni popolari, indicando il personaggio
come l’ultima delle maschere italiane. Fra le novità
di altri autori, porta in scena Come si rapina una banca,
di Samy Fayad, ,a la sua commedia più recente, L’amico
del diavolo, non riceve l’accoglienza separata, il
Ministero competente nega le sovvenzioni e la sua editrice
Einaudi, cui si era rivolto, non prende in considerazione
il testo. Amarezza e polemica accompagnano ora spesso gli
interventi di peppino, <<attore disimpegnato>>
- come lo definisce l’intervista di lucano cui spesso
ci siamo riferiti – ma che, a sua volta, accusa un
rifiuto e una mancanza di attenzione nei confronti del suo
operato. Partecipa però attivamente alle battaglie
civile, ed è fra i primi ad aderire alla Lega
Italiana per il Divorzio. La sottoscrizione alle manifestazioni
a favore dell’aborto, in seguito, provocherà
assalti e danni al teatro Parioli, che ospitava la sua compagnia.
Nella stagione ‘67/’68 continuano le tournée
in Portogallo, Spagna e Francia. A Napoli si esibisce ancora
al San Ferdinando. Il cinema non gli riserva parti significative:
nel ’67, durante le riprese di Il padre di famiglia,
di Nanny Loy, era morto Totò. Nel ’69 Peppino
mette in scena al teatro delle Arti, Come finì Don
Ferdinando Ruoppolo: è la sua ultima commedia e il
testo “suicida” emblematicamente proprio quell’onestuomo
piccolo-borghese ottuso e ostinato a cui l’attore
aveva dato respiro per tanti anni. Contestazioni giovanili,
rivoluzione dei costumi, uccidono una volta per tutte quel
“povero ragazzo” che è diventato oramai
un vecchio ingannato e disperato, senza più futuro:
i tempi non lo ascoltano, e neanche lui riesce a intendere
tanto bene il senso della “caduta delle maschere”.
Don Ferdinando, dopo aver assistito alla rovina della sua
famiglia, si precipita in dignitoso e disperato silenzio
dal balcone della sua propria abitazione. La malattia di
lidia induce peppino, per la prima volta in tanti anni,
a non fare compagnia per la stagione ’69-70. Lavora
piuttosto alla riedizione del suo teatro, che esce ampliata
nel ’71, e alle memorie della sua vita. Anche in radio,
nel programma P.come Peppino, narra aneddoti e ricordi.
Esce anche l’edizione discografica di Peppino, poesia
e musica. Per la televisione dirige La carretta dei comici,
otto puntate di Luigi de Filippo e Vittoria Ottolenghi.
Nell’aprile del ’71 muore Lidia Maresca, che
Peppino riesce a sposare poche ore prima della sua fine.
1972/80
Faticosamente, dopo la morte della sua compagna di vita
e di scena, cui dedicherà tutti i suoi scritti successivi
e per la quale scrive ora Pagine per Lidia (Napoli, Marotta,
1973) Peppino riprende a lavorare e al teatro Parioli di
Roma mette in scena alcuni atti unici del figlio Luigi (fatti
nostri, La spinta Krauti e maccheroni). Ha comunque concluso
un ciclo della sua esistenza e l’attività artistica
si concentra sulla difesa e sulla valorizzazione –
a teatro come in televisione – del suo repertorio
più antico e consolidato. Ad Antonio Lubrano
che nel’78, in occasione dell’ulteriore riproposta
in televisione di Un ragazzo di campagna e di per me come
se fosse!, gli chiederà ragione di questi anni di
“chiusura” Peppino dichiarerà: <<La
verità è che non ne ho più voglia.
Ho raggiunto un’età che me so’scucciato…E
poi quello che volevo dire l’ho detto. Tutto l’arco
della mia produzione sta a dimostrarlo. Perché dovrei
scrivere delle novità Per accontentare i critici?
No. I critici sono quello che sono, oggi sono politici più
che critici […] Eppoi non ho più voglia di
scrivere anche per un’altra ragione, che forse è
la prima. Voi sapete che ho perduto mia moglie. Dopo trentadue
anni di convivenza questo colpo per me è stato durissimo…>>
Con <<quello che ha già detto>> - in
particolare con le metamorfosi e il berretto a sonagli di
Pirandello – nel ’73 Peppino rappresenta l’Italia
al decimo Festival mondiale del Teatro, che ha luogo all’Aldwych
Theatre di Londra. In quest’occasione ribadisce ancora
una volta, in polemica con gli orientamenti contemporanei,
in che senso si considera rappresentativo del paese in accordo
e in conseguenza di quel lontano ’45, quando scelse
una lingua comica di tradizione “italiana” :
il suo giudizio sul teatro dialettale recente è
categorico: <<A parte i testi di mio fratello non
vedo altri autori>>.
La stagione ’75-’76, per al quale aveva chiesto
la presentazione a Moravia, parte battagliera a favore di
un programma teatrale – Quaranta…ma non li dimostra
e Come e perché crollo il colosseo, scritta e diretta
da Luigi – per il quale ha difficoltà a trovare
“piazze”.
Nel ’74 la sua favola Pedrolino (ma il nome originario
era Maccus) aveva riproposto in termini fiabeschi l’eterna
parabola dei “comici” come metafora dei rapporti
fra teatro e società vincendo l’VIII premio
Andersen di Sestri levante. Nel ’76, coerentemente
con le sue idee di un teatro che non viva di riflessi sulla
politica, rifiuta la candidatura al Senato offertagli dal
Partito Liberale.
Eppure in questa ultima fase della sua attività artistica,
alcune novità Peppino le affonda: un Malato immaginario,
di Moliere in televisione (1973) e una regia musicale di
Lo frate ‘nnamorato, di Giovanni Battista Pergolesi,
in occasione dell’Autunno musicale napoletano (1974).
Nel ’76 si mette alla prova con un autore contemporaneo
che sembrerebbe assolutamente estraneo alle sue corde e
chiede a Harold Pinter l’autorizzazione a rappresentare
Il guardiano, che la televisione trasmetterà l’anno
successivo per la regia di Edmo Fenoglio. Pinter concede
l’autorizzazione a “italianizzare” i riferimenti
inglesi: il protagonista (Ugo Pagliai) parla il fiorentino
e il “vecchio” interpretato da Peppino è
napoletano. La maschera facciale di Peppino è potente
e scarna , e mette in scena il dolore di una dignità
negata.
Anche la sua vita sentimentale, così duramente provata
dalla morte della moglie, era felicemente ripresa da alcuni
anni: nel ’77 sposa una giovane attrice, Lelia Mangano,
che era entrata in compagnia da tempo:<<oggi ho trovato
una compagna, che è una donna dolcissima piena di
comprensione…Lei mi ha dato, come dire, un respiro>>.
In questa nuova serenità, mentre sospende l’attività
di compagnia, nel ’77 “scoppia” il suo
libro di memorie Una famiglia difficile. Nel ’73 aveva
già pubblicato, sempre per l’editore Marotta,
Paese mio: poesie e canzoni napoletane e nel ’74 Strette
di mano, nel quale riuniva una serie di articoli apparsi
precedentemente sul <<Messaggero>> sui ricordi
con personaggi illustri del teatro e della cultura del Novecento.
Ma ora entra nel vivo del rapporto con Eduardo, ambientandolo
nella storia teatrale della prima metà del secolo:
<< Mi auguro che questo nuovo lavoro vada bene nel
senso che l’interessi l’ambiente dello spettacolo
del nostro Paese e il pubblico in genere. Io l’ho
scritto in tutta serenità di spirito e lealtà.
Si è trattato di una “fatica” vera
e propria tra scrupoli e ripensamenti…ma poi la verità
do ogni episodio e particolare m’è uscita dal
cuore, dal fondo del mio cuore facendomi decidere sull’opportunità
di aprire interamente la porta al mio pensiero critico verso
tutte quelle cose che ho amato, disprezzato e elogiate in
piene coscienza durante la mia lunga e faticosa vita di
teatrante>>. Simbolicamente le memorie terminano
con la morte di Titina, come se con la sua scomparsa fosse
terminata anche la “famiglia”. Il libro mette
in scena comunque un’antropologia teatrale della prima
parte del Novecento e, al di là delle polemiche e
delle verità molto personali, rimane la storia di
un rapporto famigliare di grande amore e di grande dolore.
In questo periodo interpreta ancora l’Avaro di Moliere,
al teatro San Babila di Milano (1977); in televisione, mentre
ripropone Un ragazzo di campagna, cura la regia teatrale
di Storia strana su di una terrazza romana, di Luigi De
Filippo (1978) e nel ’79, insieme a Luigi e altri
attori, presenta un’antologia dei suoi film e delle
sue commedie in Buonasera con…Peppino De Filippo.
E’ oramai seriamente malato, ma nonostante una saluta
che va sempre peggiorando annuncia il suo ritorno alla scrittura
(Fratelli d’Italia, di cui esiste la stesura del primo
atto) e torna al cinema dopo svariati anni con Giallo Napoletano,
di Sergio Corrucci. <<Anche se compare brevemente
per sole quattro volte, anche se gli si legge già
la morte sul volto, Peppino riesce a compiere l’antico
miracolo, quello di ravvivare ogni sequenza, ogni inquadratura>>.
(Enrico Giacovelli – Enrico Lancia, Gremese Roma 1992,
p189). Peppino si spegne a Roma il 26 Gennaio 1980. In segno
di lutto Eduardo sospende le recite per due giorni in omaggio
a un’arte che ha sempre saputo stabilire legami più
intensi e profondi delle storie personali. Nei mesi successivi
la televisione trasmette le commedie che l’attore
aveva registrato prima di morire con la regia di Giancarlo
Nicotra: Non è vero…ma ci credo!, La lettera
di mammà, Quaranta…ma non li dimostra, Spacca
il centesimo, Pranziamo insieme. Nel segno antico del Teatro
Umoristico l’attore e l’autore si congedano
dal pubblico.
a cura di Antonella Ottai dal sito internet della Fondazione
Peppino De Filippo